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Lezione V (XXVII)

[IL SARCASMO COME FORMA D’ARTE
NEL CANTO DEI SIMONIACI]


Quando il difetto ha alcuna gravitá in sé o ne’ suoi accessorii, ed offende il senso morale, la caricatura e l’ironia spariscono. L’uomo non può serbarsi spettatore indulgente e benevolo della umana depravazione: l’artista non può ridere innanzi a Vanni Fucci; non può serbarsi ironico innanzi ad un papa simoniaco.

Io voglio, o signori, esaminarvi un canto rimaso celebre, il canto detto di Bonifazio VIII, non perché Bonifazio ne sia l’eroe, ma perché ne è la vittima: l’eroe di quel canto è Dante. Ma Dante che tiene sotto a’ suoi piedi tre papi, e tutta la societá di quel tempo, sdegni privati, passioni politiche, istituzioni sociali: la poesia è qui radicata nelle intime ossa del medio evo. Fo, dunque, quello di che finora ho potuto far senza; tirato dalla necessitá del mio argomento debbo toccarvi oggi di cose delicatissime, che sollevano le piú contrarie passioni: io il farò con libertá e con misura. Ne’ paesi liberi, dove l’insegnamento e la stampa è senza censura, l’uomo deve esser di censura a se stesso; se voi volete che la legge non venga dal di fuori, dovete averla nella vostra coscienza. Io mi asterrò da ogni allusione: le allusioni in un solo caso non sono una caccia a volgari applausi, un solletico ignobile al pubblico. In un solo caso le allusioni sono un pericolo ed un dovere: negli stati servi, ne’ quali le allusioni, i ravvicinamenti e le idee a doppio senso sono l’unica forma di protesta e di libertá che rimane. A questo coraggio civile un uomo