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fu tua degna tana — ; lasciamo stare che dalla bocca di Dante non potrebbero uscir mai cosí abbiette parole; ma posto che ciò fosse, il fatto sarebbe comico e volgare: è un uomo che dá della bestia ad un altr’uomo. Ma qui è Vanni Fucci che dice di sé:

                                                             Io piovvi [di Toscana,
Poco tempo è, in questa gola fera.

     Vita bestiai mi piacque, e non umana,
Si come a mul ch’ i’ fui: son Vanni Fucci
Bestia, e Pistoia mi fu degna tana.]
     

Qui è Vanni Fucci, che si pone come tipo, che è il suo proprio artista e sceglie le circostanze piú acconce a dar risalto all’ideale bestiale, che egli vagheggia come suo ideale. Un altro uomo direbbe: — Io caddi— ; no: — Io piovvi! — Piovere è un verbo impersonale e non si dice: — Io piovo — , perché esprime un’azione fatta dal cielo e non da una persona, e la sola persona può dire «io», alla sola persona si può dire «tu». Era riserbato a Vanni Fucci il dire: — Io piovvi — , il personalizzare, permettetemi nuova parola a cosa nuova, il personalizzare questo verbo, lo scegliere una immagine impersonale, nella quale egli annega la sua propria persona. «Vita bestiai mi piacque»; e non se ne contenta, e vi aggiunge la vita umana a contrapposto ed esclusione. «Siccome a mul ch’io fui»: alla degradazione dell’anima aggiunge la degradazione della sua origine: egli si proclama bastardo e l’espressione è degna della sua intenzione: l’immagine ch’egli sceglie è quella del mulo. Un uomo può dire di sé: — Io sono un bastardo — ; ma solo un terzo che vuol metterlo in caricatura gli dice: — Tu sei un mulo. — Vanni Fucci fa la caricatura a se stesso. Ma tutto ciò potrebbe essere una figura rettorica, un dire cosí per dire, senza significato serio; la parola propria suggella e formola la sua intenzione; e l’impressione giunge al sommo, quando si vede il suo nome di uomo congiunto con bestia. E siccome a Dante non sfugge il menomo particolare, si trasfonde nel suo perso-