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i90 secondo corso tenuto a torino: lez. iv


gato: simile ad un uomo di fine educazione, capitato per mala ventura in una lurida taverna, il quale, mentre la plebea moltitudine batte le mani ad un cantastorie o ad una marmotta, si tura il naso, torce gli occhi, e guardando alla porta dice fra sé, come giá don Abbondio: — Oh fossi a casa mia! — Quindi quel non so che di duro e di costretto ne’ suoi ritratti comici, una certa mala voglia d’intrattenersi fra tanta abbiezione, una impazienza di cavarsene fuori: quindi ne’ suoi difetti qualche cosa piú del difetto; ne’ diavoli un’oscenitá ed una ferocia che fa ribrezzo; negli uomini qualche cosa di cosí bassamente plebeo, che fa stomaco. Onde il comico dantesco non è lavorato accarezzato vagheggiato abbastanza, e rimane nello stato di pura concezione: di rado s’innalza fino alla caricatura, di rado giunge alla sua naturale espressione, il riso. Ma quando il difetto si trasforma in vizio, sentimenti piú serii succedono, e noi troveremo Dante nel vero suo campo.

Il difetto per esser comico non dee supporre depravazione di anima o di corpo, di anima, quando offenda non pure il senso estetico, ma il senso morale; di corpo quando renda la persona orrida e laida a vedere: un animo tristo non è ridicolo ma odioso; un corpo marcio non è ridicolo ma disgustoso.

Vediamo ne’ dannati di Malebolge. In costoro il difetto intrinseco e generale è l’anima fatta tanto plebea che rasenta la bestia; ed il plebeo è comico, di tanto piú in quanto gli uomini plebei non hanno coscienza di essere personaggi comici, come in Sinone e maestro Adamo, i quali nella loro ignobile gara di villanie e di pugni non arrossiscono, anzi si atteggiano alla eroica: è un comico di bassa lega, rozzo, grossolano, se volete, ma è un comico. Date ora a quest’anima una coscienza, fate che non pure ella sia bestiale ma si sappia bestiale; e nascerá il rossore. Colto l’uomo in fallo, la coscienza che egli ha del suo difetto glielo fa parere al di fuori in quella che cerca nasconderlo, anzi appunto perché cerca nasconderlo, glielo fa apparire al di fuori nel rossore della fronte e nel turbamento della parola; arrossendo fa atto di uomo, perché in questo appunto è la differenza tra l’uomo e la bestia: la bestia non nasconde il