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Lezione IV (XXVI)

[DALLA COMICITÀ
ALLA DEPRAVAZIONE E ALL’IRONIA.
VANNI FUCCI E IL «DIAVOLO LOICO»]


Sancio Panza è un uomo credulo e smaliziato con una pretensione alla furberia, uno sciocco che vi sputa ad ogni tratto proverbii con un’aria di sufficienza: il padrone ha sempre in bocca cavalleria e gloria, ed egli in risposta ha sempre in bocca pancia e danari: è una prosa vivente attaccata a’ fianchi di don Chisciotte che sogna poesia, che sogna elmo di Mambrino, e trova bacile di barbiere. Ma Sancio ha molte buone parti, fedele schietto aperto leale; tu puoi ridere di lui, ma non puoi disprezzarlo; perché i suoi difetti procedono da ignoranza da volgaritá, ma non da pervertimento di animo. Parimente don Abbondio in fondo in fondo è una buona pasta d’uomo: e nel massimo accecamento della paura non perde mai una certa bontá e naturale rettitudine, che te lo fa voler bene. Con questa sorta di uomini si passa volentieri una mezz’ora: dimentichiamo in loro i pensieri e le noie della vita. I poeti, o signori, nella loro solitaria stanza conversano anch’essi co’ fantasmi che hanno evocati; e quando alla loro fantasia si affaccia uno di questi esseri comici, il Cervantes ed il Manzoni ci si spassano, ci si trastullano, si obbliano in quelli. Dante non ha questo sublime obblio comico, questa dimenticanza della propria personalitá. Egli teme di sporcarsi, mescolandosi con l’abbietta gente che ha a descrivere, e se ne sta a distanza curvo e corru-