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i68 primo corso tenuto a torino: lez xxii


I panegiristi di Dante sogliono trovar tutto oro nella Divina Commedia: io che non vo’ cadere in questo ridicolo, non mancherò di notarci questo o quel fallo quando mi ci abbatto. Qui ci è una terzina1 che mi ha l’aria d’intrusa: difettosa non solo perché dal drammatico ci fa cadere nel didascalico, ma perché collocata tra la notizia e l’impressione del padre rompe l’unitá del sentimento e rallenta la rapiditá dell’impressione. Dante cade spesso in questo difetto: preoccupato come è dall’assurda teoria del verisimile nell’arte, per desiderio di spiegare questa o quella circostanza raffredda spesso l’azione. Beatrice scende dal cielo ansiosa...2

Quanto questo raffreddi, lo provate voi in teatro, quando un malcapitato attore interrompe il corso dell’azione col raccontarvi una lunga storia di spiegazioni: e voi vorreste che il fatto fosse cento volte piú inverosimile, purché non rallentasse l’azione nel piú vivo della vostra curiositá. La necessitá di queste spiegazioni è un grande impaccio per i poeti; né gli antichi se ne sanno cavare felicemente. I moderni che cedono loro per freschezza di fantasia gli avanzano nel minuto della esecuzione: non hanno quel buon colore e quel buon sangue, ma ci si porgono innanzi meglio attillati e composti nel loro portamento.



  1.                                          Le sue parole e il modo della pena
    m’avean di costui giá letto il nome;
    però fu la risposta cosí piena.

                                                                               (Inf., X. 64-66).
         
  2. Nel ms. XVI. A. 72 mancano i versi; si accenna alla seconda risposta di Beatrice: «Temer si dee di solo quelle cose» ecc. (Inf., II, 88-90).