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i cavalcanti i6i


aveva indiritto. Piacque tanto il sonetto che nessuno disdegnò di farvi risposta, interpretando il sogno ciascuno a suo modo. Ma Guido non si stette contento a questo, e giudicando il sonetto lavoro di un giovane tirone entrato pur allora nell’arringo poetico e che per timidezza e modestia celasse il suo nome, per uno di quei movimenti spontanei del core che rivelano un nobile animo, sentí il bisogno di conoscerlo e lo conobbe: l’autore era un giovine di diciannove anni e si chiamava Dante Alighieri. Da quel punto cominciò tra Dante e Guido quella comunanza di affetti che non si ruppe se non per morte. Amendue d’alto ingegno, amendue poeti, amendue innamorati, Dante parlava a Guido della sua Beatrice, Guido favellava con Dante della sua Mandetta: e quando entrarono nella pubblica vita, amendue di una opinione e di una parte, amendue esuli, amendue sventurati. E quando Dante perdette la sua Beatrice ed oppresso dal dolore rimase lungo tempo in casa abbandonato, inerte e quasi senza mente, noi possiamo argomentare da un sonetto di Guido e la grave angoscia di Dante e le sollecite cure che gli prestava l’amico:

                                         Io vegno il giorno a te infinite volte,
E trovoti pensar troppo vilmente:
Molto mi duol della gentil tua mente
E di assai tue virtú che ti son tolte.
     

Vi sono de’ momenti supremi di malinconia ne’ quali vorremmo rubarci al fango che ci circonda e ci abbandoniamo ad un vano immaginare ed andiamo sognando nuove terre e nuovi abitatori. In uno di questi momenti esclamava Dante: — Potessi io volgere le spalle a questo mondo ed andare cercando nuove genti e nuovi mondi solo in una barchetta in compagnia di Guido Cavalcanti. —

Cosi il suo Guido s’intromettea fin ne’ suoi solitarii sogni a guisa d’una innamorata. Ebbene, o signori: quando entrarono nella pubblica vita, e Cavalcanti fu capo di parte bianca e Dante

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De Sanctis, Dante.