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pietoso allor che s’intenerisce, e nascondendo sotto un volto severo ed un fiero carattere il piú profondo e squisito sentire; coloro i quali cercano di trovare una logica connessione nelle varie apostrofi fuggitegli dalla penna, gittano via la fatica ed il tempo; e colui mi scriverá una perfetta vita di Dante, il quale uscendo una volta dalla polemica che ci sforza a porci nell’estremo opposto al punto che sceglie il nostro avversario, ci ritrarrá Dante non obliquamente, ma di fronte, tutto intero qual è, in tutto quel suo doloroso alternare dall’odio all’amore e dalla vendetta all’obblio, portando nell’amore tutta l’energia che egli porta nell’odio, concependo insieme inferno e paradiso, oggi chiamando i suoi concittadini «bestie fiesolane», e dimani esclamando pietosamente: «Popule mi, quid feci tibi?».

Vedetelo in questo canto decimo che abbiamo alle mani, e che potrei ugualmente chiamare il canto di Farinata e di Cavalcanti, nel quale il poeta ha potuto concepire quasi nello stesso istante Farinata e Cavalcanti, cioè a dire il piú fiero carattere della Divina Commedia ed uno de’ piú teneri e commoventi, e facendo entrare l’un racconto nell’altro accogliere a un tempo nella sua fantasia gl’implacabili odii d’un partigiano e gl’ineffabili dolori d’un padre.

Guido Cavalcanti ci desta care e meste ricordanze: il suo nome è congiunto indivisibilmente con quello di Dante. Guido era poeta giá celebre, capo d’una scuola che facea professione di dispregiare i poeti e tra gli altri Virgilio, cioè a dire le nude forme poetiche, e sforzavasi d’alzare la poesia a qualche cosa di sostanziale, maritandola con la filosofia. In que’ tempi a’ convegni tumultuosi della piazza si mescevano spesso i convegni pacifici delle lettere e si tenevano gentili adunanze, dove si disputava, si poetava, si scioglievano enimmi, si proponevano quistioni. Un giorno fu mostrato un sonetto anonimo, indirizzato a’ quattro piú chiari poeti di quel tempo: Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti, Dante da Majano e Cino da Pistoia. Il sonetto non usciva dal convenzionale, ovvero dal costume allegorico di quel tempo, e contenea un sogno enigmatico, del quale chiedea la spiegazione a coloro a’ quali l’incognito autore lo