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che si manifesta francamente, ma senza moti incomposti e senza jattanza di parole, con quella sicurezza che ha ogni uomo serio quando parla di sé.

Si è disputato se Dante è guelfo o ghibellino, e come egli può qui farsi difensore della causa guelfa. Dante non è qui né guelfo né ghibellino; Dante è figlio, né ci è cosa tanto commovente quanto questo Dante che qui obblia il suo partito e la sua personalitá, e diviene il padre suo, quando ha innanzi il nemico della sua famiglia. Vedetelo dall’amarezza della sua risposta:

                                         S’ei fûr cacciati, ei tornar d’ogni parte,
Risposi lui, l’una e l’altra fiata;
Ma i vostri non appreser ben quell’arte.
     

Qui subito si comprende che il foco dell’ira è montato sul viso di Dante. Farinata gli aveva detto:

                                    .    .    .    .    .    .    per due fiate gli dispersi,      

appoggiandovi sopra la voce; e Dante gli ritorna quel plurale distinto in due singolari: due colpi, l’uno appresso all’altro; e niente pareggia il sarcasmo dell’ultimo verso, nel quale in quell’«arte male appresa» di ritornare in patria si sente qualche cosa di comico serio, che presuppone in chi parla un riso, un riso amaramente ironico. E Farinata ha sentito tutto il valore della risposta non solo dall’impressione della notizia ricevuta, ma anche dall’amarezza del modo col quale gli è stata data. Quel motto: «arte male appresa», ripetuto due volte, gitta Dante in una lunga inquietudine.

Quando Dante si fa dire da Farinata che imparerebbe a sue spese quanto difficile arte sia quella di ritornare in patria, non immagina con quale rigorosa esattezza si sarebbe avverata la predizione, ch’egli mette nella bocca di lui. Molti anni passarono, nei quali sperò tante volte di rivedere la patria, ma invano.

Ed ora noi c’incontriamo in un colpo di scena, come direbbero i moderni. Nel meglio dell’interesse, nel piú vivo della