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francesca da rimini i4i


fragili fiori a cui ogni lieve soffio è mortale; gittate in un mondo che non comprendono e da cui non sono comprese, tu le vedi come Dante le rappresentò, «di qua, di lá, di su, di giú» menate dall’onda della loro passione; né possiamo senza strazio vederle nelle tragedie accostarsi piú e piú ridenti e spensierate a quell’abisso che elleno stesse si scavano, che tutti noi vediamo e che elleno sole non veggono, e dove va a profondare, prima ancora che sia gustata la vita, tanta gioventú e bellezza. Con questo comun fato s’accoppia una comune qualitá, quella squisita delicatezza di sentire che i nostri buoni padri del trecento chiamavano senza piú «gentilezza», e che oggi che la gentilezza è divenuta un cerimoniale e che le piú notili qualitá dello spirito si spiegano con la fisiologia, è detta barbaramente «impressionabilitá», lucido specchio che rende tutte le immagini che vengono dal di fuori. Questa delicatezza è la poesia della loro tragica morte; la loro sorte sarebbe troppo straziante, se elleno stesse non rabbellissero con la gentilezza de’ loro lamenti, con quella morbidezza e direi quasi mollezza femminile, in che è l’incanto di queste nature, e che si sente tanto bene nel verso:

                                    Farò come colui che piange e dice,      
che tutti sanno distinguere da un altro verso simile ma di ben altro accento:
                                    Parlare e lacrimar vedrá’ mi insieme.      

Ho io bisogno di aggiungere che, facendo io il ritratto di queste creature poetiche, ho fatto in veritá il ritratto di Francesca da Rimini, la prima concezione di tal sorta che sia apparsa nel mondo moderno? nella quale la delicatezza non giunge mai a raffinatezza, ed è congiunta e temperata con una amabile ingenuitá. Nessuna qualitá in lei volgare o malvagia, come odio, livore, vendetta, e neppure alcuna speciale qualitá buona; sembra che nel suo animo non possa farsi adito altro sentimento che l’amore: «Amore, Amore, Amore». E lo confessa franca-