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i36 | primo corso tenuto a torino: lez xix |
vita d’un’altra. Dante in Francesca da Rimini ha deificata la passione; nel canto degli avari l’ha annullata. La passione dell’avaro è l’oro; una briciola d’oro è l’universo dell’avaro; ed ora?
... Tutto l’oro ch’è sotto la luna, [E che giá fu, di quest’anime stanche Non poterebbe farne posar una.] |
In questo momento di disinganno, che si presenta a Virgilio e a Dante allo spettacolo dell’inferno, dove la passione è spogliata di tutta quella brillante sofistica, che la rende si seducente in terra, l’individuo sparisce e germoglia una nuova specie di poesia, la quale potrei chiamare la poesia de’ tempi moderni, in cui l’individuo non è se non espressione e simbolo dell’eterno che chiude nel seno. Voi vedete famiglie, genti, imperi agitarsi, perseguirsi, succedersi sotto il calmo riso della Fortuna, che non gli ode e «lieta volve sua spera».
Nel cerchio degl’irosi Dante coglie la passione nel suo interno organismo: ciascuna passione ha in sé un dualismo costante, il bene e il male; concetto profondo che E. Sue ha rappresentato giovenilmente ne’ suoi Sette peccati mortali. Avete due irosi di rincontro: Filippo Argenti e Dante; l’ira nell’uno è furore bestiale, l’ira per l’ira, espressa co’ violenti medi d’un cane in rabbia: «Via costá con gli altri cani»; nell’altro è il santo sdegno che accende l’uomo onesto allo spettacolo della malvagitá; l’uno il poeta chiama «bizzarro», l’altro «alma sdegnosa»; è l’antagonismo interno della passione rappresentato al di fuori in due personaggi distinti.
Tali sono le tre figure principali ne’ cerchi degl’incontinenti: Francesca da Rimini, la Fortuna, Filippo Argenti.
Cominceremo da Francesca da Rimini.