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i28 primo corso tenuto a torino: lez xix


                                         Orrida maestá [nel fero aspetto
Terrore accresce, e più superbo il rende;
Rosseggian gli occhi, e di veneno infetto,
Come infausta cometa, il guardo splende;
Gl’involge il mento, e su l’irsuto petto
Ispida e folta la gran barba scende;
E in guisa di voragine profonda
S’apre la bocca d’atro sangue immonda.]
               

Nessun vestigio in lui del divino, dell’angelico e neppur dell’umano; egli è il male vuoto di tutto ciò che lo nobilita nell’uomo, di carattere, di passione, ecc.

Ne’ gruppi umani comincia a comparir l’uomo non l’uomo intero, l’uomo individuo dotato delle più diverse qualitá; ma unitá collettiva onde è sbandita ogni parte individuale e sociale, comunanza del peccato, dove rimane solo il sentimento generale della colpa commessa espresso in un modo generale anche esso: un grido, un gesto, un movimento.

Questi elementi, che io vi sono andato mostrando, volete ora vederli fondersi, entrare gli uni negli altri come è la poesia nella sua veritá? Leggete il canto terzo di Dante.

Il canto terzo è quello in cui l’inferno si affaccia la prima volta alla fantasia del poeta. Dante sta innanzi ad una porta; l’inferno è ancora in lontananza; niente veggono i suoi occhi, tutto la sua immaginazione: condizione poetica favorevole come è giá detto, la quale congiunta con la freschezza della prima impressione ci spiega perché il poeta qui siasi levato a tanta altezza, che questo può ben chiamarsi il canto del sublime. Qui troverete raccolti tutt’i tratti del sublime che io vi sono andato sparsamente disaminando; qui la scritta, cioè a dire l’eternitá, Dio, la disperazione, quanto di sublime ha l’inferno; qui Caronte dal pelo antico e dagli occhi di bragia; qui gli uomini morti nell’ira di Dio bestemmianti ed imprecanti. Questi tratti non ve li ripeterò io giá; ben piacemi di fare un’osservazione sull’insieme del canto. Il canto terzo è il vero principio dell’inferno, non essendo gli altri due che precedono se non