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i demòni ii5


ha trionfato, che cosa altro gli resta a fare? Soffrire e far soffrire, vittima e carnefice; e quanto piú vile come vittima, tanto piú feroce come carnefice.

Tale è il demonio che la situazione offre a Dante e tale egli l’accetta con quel sicuro istinto che mai non abbandona il vero poeta; né mai troverete in lui minima traccia, minima orma di sforzo che ei faccia per togliere il demonio da questo angusto circolo di azione in cui dee rimanere, per trasportarlo in un campo piú vasto. Il demonio perciò non ha un valore assoluto, ma riceve il suo significato dalla situazione, in cui si trova rispetto alla natura ed all’uomo. Nella natura la depravazione dello spirito rimane immobile; nel demonio acquista un primo grado di vita perché in lui comincia ad apparire lo spirito. Il demonio è la prima apparizione dello spirito, il primo gradino nella scala degli esseri spirituali, lo spirito tra l’umano e il bestiale, in cui l’intelletto è ancora istinto e la volontá è ancora appetito. Il qual concetto ha il suo progresso secondo il disegno generale che ho tracciato dell’inferno e che vi ho mostrato giá nella natura infernale.

Ci ha due serie di demòni: nella prima i mitologici; nella seconda il diavolo cristiano; la prima grave, severa, tragica; la seconda comica, satirica, prosaica. In che modo la tragedia può essere rappresentata dal demonio? Immaginate di assistere ad uno spettacolo tragico; gli attori si animano, s’incolleriscono, fremono, tremano. Immaginate di stare in tal lontananza che le parole non giungano al vostro orecchio: che cosa sará per voi la tragedia? Un’azione muta: l’esterno vi appare: l’interno, cioè a dire le passioni ed i fatti che danno origine a que’ moti e che si esprimono con la parola, vi sfugge del tutto. Tale è il limite nel quale rimane la tragedia demoniaca: ogni parte interna è in loro nulla, non carattere, non passione, non intelligenza, non volontá: e nemmeno la parola; poiché o tace, o le parole sono brevi imprecazioni, vuote di senso, espressioni di cieca e bestiale collera: la tragedia è puramente esterna: passione o peccato tradotti in moti o gesti. Ed in effetti qual differenza è tra un uomo che sbuffa e digrigna i denti e fa gesti