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la natura nell’inferno i09


La natura vi è spogliata d’ogni sua bellezza e vestita a bruno. Né basta. Dante non solo l’ha scompagnata da quegli elementi che la rendono bella, ma l’ha congiunta con elementi innaturali, prodotto del peccato e della depravazione dello spirito; la violenza come peccato è la forza usata contro il fine, a cui è destinata dalla natura. La natura è qui snaturata dall’uomo: vi è un lago d’acqua quale ce lo dá la natura, ma quale l’uomo solo ha il tristo privilegio di farlo, un lago di sangue. Di che nasce un sentimento assai piú attivo del dolore: l’orrore. Alcuni credono l’orrore incapace di poesia, e s’ingannano. L’orrore è la poesia del disgusto. Un oggetto disgustoso, se ha in sé alcun che di straordinario che contraddica alle leggi naturali e morali, come in Mirra, in Medea, in Tieste, fa drizzare i capelli e levare le mani. Ne addurrò un esempio celebre. Quando il capo del conte Ugolino sta come cappello sul teschio dell’arcivescovo Ruggieri, questo spettacolo contro natura, fuori dell’umano, contrario a l’homo sum, genera raccapriccio ed orrore. Ma quando vi si dá un secondo sguardo e si può guardarlo nelle sue parti, quella bocca sozza di sangue e i capelli lordi, coi quali se la forbisce, generano disgusto. Il che spiega perché alcuni lodano, altri biasimano questa invenzione. I primi stanno alla prima impressione, che tramanda le parti e coglie l’insieme; i secondi stanno alle seconde impressioni attutite, quando la fantasia è raffredda e non rimane che il solo occhio corporale ed anatomico. L’orrore tiene sotto di sé il disgusto; in Malebolge questo si leva su e sale alla superficie. Malebolge non risponde piú ad alcuno oggetto terrestre: è la natura in frammenti, che il poeta ha raccolto e formatone una nuova combinazione. Rupi scoscese, schegge, fossi sforacchiati, abissi nel fondo, sassi, balze, borse, ecc.; scogli gittati in mezzo agli abissi a guisa di ponti, e sul confine delle bolge massi di pietre che si muovono sotto i piedi. La diresti una cittá in rovine, la natura in frantumi. Ed in effetti il poeta immagina che alla discesa del Cristo quella parte sia venuta in conquasso, tremando tutta la valle feda. Qui è che il disgusto soverchia. Il disgusto nel demonio e nell’uomo è il laido e l’osceno; nella natura il putrido. Dante ha