Pagina:De Sanctis, Francesco – Lezioni sulla Divina Commedia, 1955 – BEIC 1801853.djvu/111


la natura nell’inferno i05


la vita che muore a poco a poco, il moto che a poco a poco si spegne, il brutto che a poco a poco si leva su. Vediamolo.

Quando l’inferno si presenta la prima volta innanzi alla nostra fantasia, esso non è brutto né laido, ma terribile; e cosí si presenta la prima volta innanzi a Dante, terribile, infinito, sublime. I caratteri del sublime infernale, come giá osservai, sono l’eterno e il tenebroso. Dell’eterno si è giá ragionato altrove: parliamo del tenebroso.

In che è posto il sublime delle tenebre? Nell’annullamento della forma, nella morte della fantasia: la vita della fantasia è il dar corpo e figura agli oggetti, e nelle tenebre il corpo e la figura si dileguano, e la fantasia, spaurita, ondeggia nell’indeterminato e nel vuoto. Onde quel sublime negativo, che noi congiungiamo con ciò che non è, con la morte, col male, col nulla, con le tenebre.

In che modo la poesia può formare ciò che non ha forma? Essa giunge per indiretto dove è impossente la pittura e la scoltura. Prendete un cieco nato: per lui le tenebre non sono sublimi, ma sono soltanto il suo stato quotidiano ed ordinario, perché egli non concepisce la luce. La conoscenza della luce rende sublimi le tenebre, la conoscenza dell’essere rende sublime il nulla. Noi poniamo l’ideale della luce nel sole e nelle stelle; la luce è per noi la vita, l’anima, la parola dell’universo; la luce è la visione e la vita dell’occhio. È lo spettacolo delle stelle annullate che rende sublimi le tenebre:

                                         Quivi sospiri, pianti ed alti guai
Risonavan per l’aer senza stelle.
               

E la luce come parola dell’universo che rende sublimi le tenebre silenziose:

                                         Io venni in luogo d’ogni luce muto.                

É l’annullamento della visione, la morte dell’occhio, che rende sublimi le tenebre: