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v. l’«orlando furioso» | ii9 |
Agramante accorre. Sacripante racconta il furto. Marfisa si ricorda della spada, riconosce Brunello, lo ghermisce, lo conduce innanzi a Sacripante, e comincia con un «voglio»:
— Io voglio questo ladro tuo vassallo Con le mie mani impender per la gola, Perché il giorno medesmo che ’l cavallo A costui tolle, a me la spada invola. Ma s’egli è alcun che voglia dir ch’io fallo, Facciasi inanzi, e dica una parola; Ch’in tua presenza gli vo’ sostenere Che se ne mente, e ch’io fo il mio dovere — . |
Quest’è l’ultima discordia, che serve di compimento. Questo canto è l’Iliade che finisce nel Don Chisciotte.
4. — Alcina.
L’azione epica è svanita; la battaglia è degenerata in duello. Si combatte ancora sotto Parigi, ma da comparse; mancano i grandi guerrieri che c’interessino. L’interesse rinascerà quando Agramante, Gradasso e Sobrino duelleranno con Orlando, Oliviero e Brandimarte. C’interesseremo a’ guerrieri, non alle idee generali che riattaccansi ad un poema epico. Sulle rovine dell’elemento epico s’innalza il cavalleresco, che rimane solo in campo come parte attraente e seria del poema. L’elemento cavalleresco consiste proprio in quella discordia, in quell’anarchia, in quelle forze individuali indisciplinate, smisurate e cozzanti che interessano, tolta di mezzo la società, e che rispetto alla società sono ridicole e state ridicoleggiate dall’autore.
Il soprannaturale cavalleresco succede all’epico: queste forze più che umane vengono spiegate miracolosamente: con l’invulnerabilità, con le armi di Ettore o di Nembrotte, ecc. Fra queste forze soprannaturali ci è anche l’animo, che Ariosto ha voluto personificare nelle fate, che sotto questo aspetto sono serie. Le