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84 | giacomo leopardi |
Questo primo amore, che nell’altra elegia sotto l’immediato impulso del fatto ha una espressione tumida, che vuol essere patetica, qui, ritornato nella memoria, ha tinte soavi e ti lascia, in quella sua sincerità e ingenuità di sentimento, una impressione pacata, di una dolce malinconia. Ciò che c’è troppo straziante nella realtà, viene trasfigurato nella ricordanza, diventa melodia.
A questa felice disposizione si debbono gl’idillii, brevi componimenti, schizzati in que’ cari momenti di rifugio, in cui l’anima parla con sé stessa: contemplazioni, impressioni, ricordanze, riflessioni, malinconie e dolcezze. Sono cinque quest’idillii: l’Infinito, la Luna, la Sera del dì di festa, il Sogno, la Vita solitaria.
L’idea e il nome gli venne naturalmente dagl’idillii greci, lui traduttore degl’idilli di Mosco. Si può credere che il traduttore fosse a sua volta autore, dilettandosi di comporre in quella giovine età qualche idillio, com’è quello delle Rimembranze, ultimamente pubblicato dal Cugnoni, lavoro affatto giovanile.
L’idillio leopardiano non ha niente di comune col significato che si dà generalmente a questa maniera di poesia. Non è descrizione della vita campestre, con dialoghi tra pastori, o pescatori, opera spesso di civiltà avanzata e stanca che, mancato ogni degno scopo della vita, cerca nuovi stimoli negli ozii campestri. Forse per questo Leopardi più tardi cancellò quel nome d’idillii e diè a tutte le sue poesie un nome comune, Versi o Canti.
Fatto è che dapprima comparvero con quel nome, rivelando nel giovane autore una concezione sua propria dell’idillio. Esso