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40 | giacomo leopardi |
Plauto, Lucrezio, e non somiglia a loro e altri antichi, che per le parole. Leggendo il panegirico di Leopardi, ti par ch’egli abbia innanzi un ente di ragione, idealizzato nella giovanile fantasia, anzi che persona viva. La sua ammirazione gli è dovuta in gran parte venire da’ giudizii laudativi di Macrobio, san Girolamo, Sidonio e tanti altri di quegli ultimi tempi, ripetitori gli uni degli altri, che rimasero come eco fedele, senza esame, nel suo spirito.
Scrive come purista, giudica come purista.
E sembra che anche gl’Inni manzoniani lasciassero qualche vestigio nel suo spirito, essendosi trovati fra i suoi schizzi un progetto d’inni cristiani, a Maria, al Redentore, agli Apostoli, al Creatore. Nelle poche frasi rimasteci, troviamo idee melanconiche, un grido d’angoscia che invoca pietà:
Tu hai provata questa vita nostra, tu ne hai assaporato il nulla, tu hai sentito il dolore e l’infelicità dell’esser nostro. Pietà di tanti affanni, pietà di questa povera creatura tua... Tempo verrà ch’io non restandomi altra luce di speranza, porrò tutta la mia speranza nella morte, e allora ricorrerò a te.