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v. 1816 - risveglio letterario 37

tomi non piccoli sopra cose erudite (la qual fatica appunto è quella che mi ha rovinato); e qualche letterato straniero che è in Roma e che io non conosco, veduto alcuno degli scritti miei, non li disapprovava, e mi facea esortare a divenire, diceva egli, gran filologo. È un anno e mezzo che io quasi senza avvedermene mi son dato alle lettere belle, che prima non curava; e tutte le cose mie che ella ha vedute, e altre che non ha vedute, sono state fatte in questo tempo, sì che avendo sempre badato ai rami non ho fatto come la quercia che A vieppiú radicarsi il succo gira. Per poi schernir d’Austro e di Borea l’onte; a fare il che mi sono adesso rivolto tutto.

Questo brano è scritto così bene, che mostra già la sua grande perizia e pratica di lingua e di stile nelle cose italiane. È chiaro che nell’anno 1816 egli si diede alle lettere belle, che prima non curava. Oggi è venuta in moda una critica che chiamano storica, ed è appena una cronaca, la quale entra nelle più insignificanti minuterie, e cerca l’anno, il mese, il giorno quasi di molti fatti psicologici. Le evoluzioni non avvengono a data fissa; e quando si mostrano in qualche fatto importante, c’è stata già innanzi la preparazione. Nella sua prima età scolastica il giovane aveva dovuto già leggere molti autori italiani antichi, e de’ recenti quelli ch’erano più in voga, poeti moltissimi, e non pochi prosatori, specialmente cinquecentisti. Letture superficiali, ma letture. Poneva grande studio nel latino e nel greco; l’italiano curava poco, rimasto in quell’italiano di uso, che allora correva. Non c’era ancora per lui una lingua buona e cattiva. Del trecento aveva dovuto leggere Dante, Boccaccio, Petrarca; ignorava tutto il resto, messo in evidenza dal purismo. Leggeva affastellatamente, accomunando buoni, mediocri e pessimi, di questo di quel secolo, senza regola e senza indirizzo. Faceva quello che abbiamo fatto tutti nel tempo che il purismo non era ancora in voga. Datosi all’erudizione, «uno de’ rami», a diciotto anni si svegliò in lui il letterato, «quasi senza avvedersene». E in verità l’uomo non coglie i passaggi del suo spirito, se non a evoluzione compiuta, ed è inconsapevole negl’intervalli tra vecchio e nuovo. A diciotto anni il giovane sentì che l’erudizione