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iv. 1815 - gl’«idillii» di mosco 31

in grembo alla natura non se ne stacca mai, non si rivela come personalità umana, non sale di là a concetti e a giudizii, rimane senza iniziativa e senza movimento proprio, in balìa delle impressioni.

La natura è bella perché sentita e goduta dall’uomo; e l’uomo gode perché la contempla e rimane tuffato in quella contemplazione.

Or questo sentimento è la base elementare della poesia idillica, ch’è appunto nella pace della vita campestre e nel godimento della natura.

Ed è anche la base rudimentale della poesia leopardiana.

Il giovane a quel tempo era tutto biblioteca, salvo le sue passeggiate sul colle, solo in presenza della natura, e viveva di lei e con lei. Da queste contemplazioni e da questi godimenti attinse quel vivo sentimento della natura che è così raro ne’ poeti italiani. Quel sentimento era tanto più intenso quanto meno diviso, nudrito e sviluppato da quella dolce melanconia ch’è compagna della solitudine. Or quel pastore è Leopardi, esso medesimo, e quell’idillio che traduce, suona nella sua anima come una eco della sua voce interiore. Si vede in questo giovane già l’uomo, più disposto al contemplare che al fare, e solitario e malinconico, quale lo troveremo appresso.

Ecco ora l’idillio:

        Quando il ceruleo mar soavemente
Increspa il vento, al pigro core io cedo:
La Musa non mi alletta, e al mar tranquillo,
Più che alla Musa, amo sedere accanto.
Ma quando spuma il mar canuto, e l’onda
Gorgoglia, e s’alza strepitosa, e cade,
Il suol riguardo, e gli arbori e dal mare
Lungi men fuggo; allor sicura e salda
Parmi la terra, allora in selva oscura
Seder m’è grato, mentre canta un pino
Al soffiar di gran vento. Oh quanto è trista
Del pescator la vita, a cui la barca
È casa, e campo il mare infido, e il pesce