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276 | giacomo leopardi |
temperata nella sveltezza del settenario, e la rima, ove cade, compie l’effetto musicale.
È assai probabile che il poeta abbia concepiti e anche abbozzati in prosa questi cari idillii così come il Passero solitario. Essi sono molto simili per concetto alla Sera del dì di festa. Nell’uno, non ci è la sera ma il sabato, il dì che precede alla festa; e nell’altro il concetto è a rovescio: è la tempesta prima e la quiete poi.
I tre idillii potrebbero dunque esser nati ad un parto; senonché due di essi non sarebbero stati compiuti e pubblicati se non molto più tardi. Ma, rimettendo mano, il poeta non ritrovò più i furori e le disperazioni di quella prima età quando esclamava:
Oh giorni orrendi |
Qui si vede una disposizione di animo pacato, atto a descrivere e gustare quelle brevi gioie.
Descrizione e riflessione stanno l’una fuori dell’altra, ciascuna al suo posto. La riflessione vien dopo, come la morale della favola, che non ha niente di amaro e di personale ed ha l’aria di una semplice guardatura filosofica.
Considerando bene questi nuovi idillii, che si riappiccano a una ispirazione antica e giovanile, ciò che in essi ci rivela uno spirito nuovo è quella virtù di concepire e rappresentare la gioia più che il dolore dell’esistenza, di modo che la stessa amarezza di una riflessione sopraggiunta rimane temperata ed addolcita.
Ma, dove apparisce nella maggior potenza lo spirito risorto del poeta, è nel Canto del pastore errante, questo idillio degli idillii, nato sotto il cielo di Firenze, e uscito fuori di un getto solo.
Il motto di Saffo:
Arcano è tutto, |