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congiunte con un brio di espansione, con un calore, con una disinvoltura, che lo rivelano moderno. Il commercio de’ vivi, la dimora nelle principali città italiane non fu senza effetto. Soprattutto dové giovargli la «civilizzatissima» Firenze, alla quale egli contrappone Roma, così lontana dal mondo «civilizzato». Quel dolce parlar toscano, così vivace e nella sua semplicità così pieno di grazia, quella dimestichezza di conversazioni con gli uomini più celebri, quel suo affiatarsi con gli scrittori più recenti, come Goethe, Byron, Sismondi, Manzoni; fino quegli studi della Crestomazia poetica, che gli misero innanzi antologie di altri paesi, come quella del Brancia, non furono senza efficacia su di una anima delicata, aperta alle impressioni. Giovarono forse anche i lunghi colloquii col Manzoni, che dovettero stornarlo da quelle forme solenni e clamorose, le quali egli aveva ereditato dall’uso de’ latini, da Monti e da Foscolo. Tra i libri acquistati o donati in Firenze, de’ quali pensava arricchire la biblioteca patema, c’erano le opere del Manzoni, che egli promette in dono al fratello più piccolo. Ma, più che altro, dové giovargli la separazione della sua anima da tutti gli accidenti del mondo esterno e il suo ritiro assoluto in sé stesso. Terminata la Crestomazia poetica, prende commiato dallo Stella, ponendo fine a questi lavori di pazienza, ancoraché abbia innanzi ricchi materiali intatti, e mulini progetti, che egli medesimo chiama castelli in aria. Consegnando i suoi manoscritti al Sinner, aveva già lasciati per sempre gli studi e i libri, vietatigli dalla cattiva salute. Nella sua vita solitaria e monotona ci sono intervalli felicissimi, nei quali si rivela il poeta che fantastica sopra sé stesso, alzandosi all’universo, o fantastica sull’universo, con ritorni frequenti in sé stesso. La bellezza, l’amore, la rimembranza, l’uccello, il fiore, la lapide sepolcrale non l’interessano solo per sé, ma come motivo al perpetuo ritornello di sé e dell’universo; sono le variazioni di quella formidabile ripetizione.

Vita idillica, se mai ci fu, nobilitata dall’altezza del pensiero, dall’orgoglio dell’uomo nel dolore, dalla perfetta sincerità del sentire. Il concetto stesso dell’arte gli si era purificato. Quell’arte per sé stessa, quel puro gioco dell’immaginazione, quel-