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214 | giacomo leopardi |
desso, che lo attrista e guasta il suo umore e lo tiene preoccupato, e gli vieta la serenità dell’arte. Perciò manca a questa prosa l’interesse che viene da una sincera e calda partecipazione personale, e l’interesse che viene dalla calma e serenità dello spirito. Ci è quell’uomo tristo e frigido, non potuto vincere nelle nuove Canzoni come s’è visto.
Quanto alla maniera dell’esposizione, o a quel suo tipo di prosa, fo alcune considerazioni. Quella prosa è perfettissima in sé, ben rispondente al suo esemplare, di una solida ossatura, ma non è viva, non è moderna. La prosa italiana classica è finita nel secolo decimosettimo, quando appunto in altre nazioni s’iniziava una nuova civiltà, a cui restammo estranei. Rimasta stazionaria, ed imbarbarendo sempre più con mescolanze strane, quando il nostro pensiero si risvegliava e si moveva, l’ingegno italiano ricorse all’imitazione francese, quasi tacita confessione che la nostra prosa classica era divenuta stantìa, e non rispondeva più alle nuove condizioni del nostro pensiero. Ben vi si provarono alcuni, e cito Antonio Genovesi, che filosofava in forma boccaccevole. Venne poi la reazione purista, e si tentò una restaurazione della prosa classica; e la soluzione del problema era in un cercato e non ottenuto innesto della prosa del trecento e di quella del cinquecento. Dalla prosa di Alfieri e di Foscolo a quella di Giordani è una curiosa storia di tentativi sui morti, voglio dire sui classici. Ora, a Leopardi, che aveva innanzi il tipo semplice e insieme elegante della prosa greca, parve che quei tentativi non approdassero. Ma anche lui si ostinò a lavorare sul morto, e non poteva altrimenti, chiuso come era e solitario in Recanati. E gli venne fatta una prosa, che per proprietà, per semplicità, per intima connessione è mirabile, ed è certo la miglior prosa di quel tempo, e in sé modello compiuto. Pure, non è difficile scoprire in questa prosa un certo artificio sotto a quella apparenza di naturalezza, qualcosa come fatto a studio e secondo norme prestabilite. E poi, ci si sente il morto, non so che stancante, mal corrispondente all’impazienza del nostro spirito moderno, alla velocità della nostra apprensione. I nostri classici vogliono tutto dimostrare e tutto descrivere;