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xxi. 1824-25 - a bologna e a milano 185
Se ella vuol che io lasci le seccantissime e importunissime lezioni che mi occupano la metà del tempo, gli scriveva, io sarò qui tutto per lei...; non avrò altro pensiero né altra occupazione che di servirla.
Il libraio, per averlo tutto a sé, gli aveva raddoppiato l’assegno.

        Ma non era neppur quello un bel mestiere, quel lavorar sì, ma contro genio, o piuttosto a genio altrui. E il pover’uomo sospirava sempre a quel tale impiego che doveva trarlo dall’incerto. Bunsen lavorava per lui a Roma, e Giordani a Firenze. Nell’Antologia erano usciti i primi dialoghi suoi a cura di Giordani, che già lo aveva trombettato «ingegno immenso e stupendo». Giordani, che mirava al riscatto d’Italia per via dell’educazione e coordinava a questa mira la sua Scelta di prosatori italiani, voleva associare l’immenso ingegno ai suoi disegni, e si adoperava a trovargli una posizione stabile in Toscana. Ma da Roma venivagli avviso di non accettare nessuna proposizione che gli venisse di Toscana. Gli è che Bunsen lavorava per lui, con sottile avvedutezza di diplomatico. Rappresentava al cardinale della Somaglia, che era l’Antonelli di quel tempo, come non convenisse lasciar quel giovine nelle mani di Giordani, aperto nemico della Santa Sede. E gli mandava il fascicolo dell’Antologia, dove il Giordani parlava con tanta ammirazione di Giacomo Leopardi. E il cardinale suggeriva che, se il giovane voleva fare qualche opera, e soprattutto «se l’opera avesse una stretta relazione con la religione», Sua Santità potrebbe fornirgliene i mezzi. Fallitagli la cancelleria del Censo in Urbino, Leopardi desiderava molto il posto di segretario generale nell’Accademia di Belle Arti in Bologna, come quello che esigeva ben piccola fatica e piccolo tempo, e gli dava agio di mettersi a lavori di suo gusto.

Volgeva fra l’altro in mente una Antologia platoniana, e come Platone cominciava a venire in moda, a guisa di opposizione al materialismo francese, questo disegno comunicato da Bunsen non doveva dispiacere al cardinale.

Ho letto, scrive a Bunsen il giovane, il Platone di Cousin, e per quello che si poteva aspettare da un francese, mi pare un lavoro assai diligente. Lo trovo poi ottimo quanto alla parte filosofica, ed