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xxi. 1824-25 - a bologna e a milano 181

gheggiava una Biblioteca de’ classici, e soprattutto un Cicerone illustrato, con prefazioni e quel che segue. Ne scrisse al Leopardi, che gli rispose una dotta lettera il 18 maggio 1825. Lo Stella credette di aver trovato il suo uomo, e si pose in mente di farlo direttore di questa impresa, e invitò a Milano «il figlio di famiglia», come nel rispondergli si chiama il povero Giacomo. Lo Stella capì il latino, e presto furono d’accordo, e l’uccello prese il volo.

Cosí Leopardi lasciò Recanati, e prese la via di Bologna. Vide Brighenti, rivide Giordani, contrasse nuove amicizie, soprattutto con la famiglia Pepoli. L’aria, il moto, l’espansione, le liete accoglienze gli fecero bene.

Scrive al padre il 22 luglio 1825:

Ho sofferto nel viaggio e qui in Bologna un caldo orribile, e dovendo girare continuamente nelle ore più abbruciate, mi sono strutto, e mi struggo ogni giorno in sudore... Con tutto questo, invece di peggiorare, sono talmente migliorato della salute, che nessuno strapazzo mi fa più male: mangio come un lupo... Anche gli occhi sono migliorati assai. Sono stato tentatissimo di fermarmi qui in Bologna, città quietissima, allegrissima, ospitalissima, dove ho trovato molto buone accoglienze.

Roma gli pareva una solitudine; in Bologna si sente in compagnia, si sente riconciliato con gli uomini. Ebbe pure una offerta d’impresa letteraria, che non richiedeva gran fatica e non l’obbligava per troppo tempo. Ma, non potendo mancare all’impegno contratto con lo Stella, prese la via di Milano. Partito a malincuore e con l’ospitale Bologna nella mente, dove in nove giorni avea contratto più amicizie che a Roma in cinque mesi, Milano non gli fa una buona impressione.

In Bologna nel materiale e nel morale, scrive a Carlo, tutto è bello, e niente magnifico; — non si pensa ad altro che a vivere allegramente senza diplomazie; — ma in Milano il bello, che vi è in gran copia, è guastato dal magnifico e dal diplomatico anche nei divertimenti. In Bologna gli uomini sono vespe senza pungolo; e credilo a me, che con mia infinita maraviglia ho dovuto conve-