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L’impazienza della solitudine era alimentata dalla speranza di prossimo collocamento. Partire da Recanati era il suo «gran desiderio».

        Ma il giorno dopo, io non avrei da pranzo, perché mio padre, o che non possa, o che non voglia, non mi darebbe mai tanto da potermi mantenere per il primo tempo, fino a tanto che avessi trovato da procacciarmi il mantenimento da me stesso.

Ben ci pensava il Niebuhr, che non aveva intermesse le pratiche in favore del suo protetto, il quale egli aveva in molta stima e per l’ingegno non comune, e per il nobile animo («nobles Gemüth»). Partito di Roma, il Niebuhr gl’inviò in dono un esemplare del suo Merobaude, e lo raccomandò al Bunsen, suo successore.

Così cominciò tra Leopardi e Bunsen un cambio di lettere e di relazioni amichevoli, che continuò sino alla sua morte. Desiderava Leopardi di essere nominato cancelliere del Censo, e c’era il posto vuoto in Urbino.

Questo ufficio, essendo sufficientemente provveduto, e non esigendo gran travaglio, potrebbe somministrarmi i mezzi di passare la metà dell’anno in Roma, e per conseguenza la possibilità di esercitare e continuare i miei deboli studi.

Questi erano i pensieri modesti di Giacomo Leopardi, e non poterono avere effetto, soprattutto dopo la morte di Pio VII.

La reazione gerarchica, narra Bunsen, che alzò al trono Leone XII, e guidò il suo pontificato, rendeva impossibile quello che sotto Pio VII era solo difficile.

Fallite queste pratiche, se ne iniziarono altre, ed intanto Leopardi cercava nuove vie. Ma ohimè! I letterati, a quel modo che era Leopardi, sono in Italia condannati irremissibilmente alla fame. Non trovò un editore che accettasse un suo volgarizzamento dei Caratteri di Teofrasto. Volgeva pure in mente una Antologia platonica. Bei progetti! Ma gli editori preferivano libri per le scuole di facile smercio. Il noto editore Stella va-