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xvii. 1823 - ritorno a recanati 161
Così scriveva Leopardi a Jacopssen: lettera interessante, perché molto pensata, scritta con un linguaggio filosofico, che dà indizio dei suoi studi e dei suoi autori favoriti, e dove è il succo dei suoi pensieri sulla vita. Quel suo «vivere è sentire» rassomiglia al «vivere è godere» di Elvezio e altri sensisti. O la vita non ha scopo, o il suo scopo è la felicità.

        Qu’est-ce-donc que le bonheur, mon cher ami? et si le bonheur n’est pas, qu’est-ce donc que la vie? Je n’en sais rien.

Io non voglio ancora esaminare il valore di questo concetto; ciò che importa è determinarlo, se vogliamo intendere bene la storia intima di Leopardi. Vivere è sentire, amare, sperare. Or questi beni si trovano tanto meno nel reale, quanto maggiore è la capacità di sentire, e la ricchezza della vita interiore.

Tous les objets lui échappent, précisément parce qu’ ils sont plus petits que sa capacité.

Facile è il godimento agli animi volgari; ma l’uomo, uso a riflettere, «ce qui est toujours propre des esprits sensibles», dotato di una vita interiore sovrabbondante che lo spinge sempre verso la vita esteriore, «ne pouvant jamais être content de soi-même, ni cesser de s’examiner, et se défiant toujours de ses propres forces, il ne sait pas faire ce que font tous les autres». È la teoria del Genio infelice. Non potendo trovare appagamento nella vita esteriore, si chiude in sé, si nutre di sé, trova nei lavori dell’intelligenza e della immaginazione quella felicità, che il reale non gli può dare.

Sogna e ama i suoi sogni; e non cerca di realizzarli, perché il reale è molto inferiore alle immagini.

Plusieurs fois j’ai évité pendant quelques jours de rencontrer l’objet qui m’avait chármé dans un songe délicieux. Je savais que ce charme aurait été détruit en s’approchant de la réalité.

La virtù, come tutto ciò che è bello e grande, non è che un’illusione. Ma se questa illusione fosse comune a tutti, se

11 — De Sanctis, Leopardi.