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xiii. 1820-21 - progetti | 125 |
denza, si può ammettere. Ma da questo alla tirannia, alla soverchieria, alla inimicizia ci corre, ed è un voler ragionare co’ nervi del figlio. La storia dee essere imparziale; e non perché il padre era un clericale, bisogna gridargli il «crucifige».
Per buona fortuna, se dispiaceri non mancavano al buon Leopardi, la sua salute migliorava, come si vede dalla lettera del 30 giugno a Giordani, dove parla della sua malattia, come di cosa già passata da parecchi mesi. Citerò alcuni brani, da’ quali si possa raccogliere lo stato della sua salute e le sue occupazioni.
La mia povera testa ha ripreso tanto di forza da poter essere applicata di tratto in tratto a qualche cosa, laddove finora, un anno e più, non ha potuto comportare la menoma attenzione a checchessia1.
Questi mesi ultimi ho potuto adoperare la mente di quando in quando, e scritto molte cose, ma tutte informi2.
Io sto competentemente bene del corpo. L’animo, dopo lunghissima e ferocissima resistenza, finalmente è soggiogato e obbediente alla fortuna. Non vorrei vivere; ma dovendo vivere, che giova ricalcitrare alla necessità? Costei non si può vincere se non colla morte3.
Il riso intorno agli uomini ed alle mie stesse miserie, al quale io mi vengo accostumando, quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore, ma piuttosto dalla noncuranza, ch’è l’ultimo rifugio degl’infelici soggiogati dalla necessità... La mia salute non è buona, ma competente, e tale che in quanto a lei non dovrei disperare di vivere a qualch’effetto. Vo lentamente leggendo, studiando e scrivacchiando. Tutto il resto del tempo lo spendo in pensare e ridere meco stesso»4.
I miei mali, benché non sieno dileguati, pur si vanno scemando5.