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Le due serie d’idee e di sentimenti che coesistono nel suo spirito acquistano dunque maggior ricchezza e maggior precisione. Tra questa doppia serie si stende la sua poesia con molta varietà di gradazioni, secondo il suo umore, ovvero il suo stato d’animo. Ora prevale l’una, ora l’altra. Ma ci è sempre e l’una e l’altra. Ci è la vita nel suo «verde», lieta di speranze e di fantasmi. C’è tutta la vita. La ragione non può uccidere il sentimento, e il sentimento non può cacciare la ragione. L’entusiasmo è pregno di scetticismo, e lo scetticismo ha in sé il calore dell’entusiasmo.

       Quelli dunque che gridano Leopardi poeta del nulla, errano. Sono poeti del nulla quelli che lo amano e gustano la sua voluttà, perché anche il nulla ha le sue voluttà, come l’assenzio o l’oppio. È la voluttà della morte, il «cupio mori», il «piegare addormentato il volto nel suo vergineo seno», l’ultimo sorriso dell’uomo stanco, che ha in orrore la vita e la disprezza. Questo c’è, ma è appena un episodio in questa poetica rappresentazione del mondo. Il più spesso Leopardi aborre il nulla, e aborre perfino il pensiero, la ragione, la scienza che glielo impongono. E ama e pregia e desidera la vita, di cui non si sente stanco, ma privo; e se la rappresenta coi più ricchi colori dell’immaginazione, e le corre appresso co’ più impazienti moti del desiderio.

Odia il vero e ama le illusioni, «le care illusioni», ed è perciò non solo poeta, ma uomo, ha viscere umane e commove profondamente ogni cuore di uomo.

Questo era l’anno che dilatavasi sempre più l’ardore patriottico nelle classi intelligenti, e per mezzo de’ carbonari si comunicava a’ più piccoli borghi. La Spagna dava l’esempio all’Italia, e l’incendio avvampando divenne la rivoluzione del Venti e del Ventuno. Leopardi era in corrispondenza con Montani, che, avute le sue prime canzoni, augurava in lui il futuro poeta della libertà. E anche Giordani in lui vagheggiava il perfetto scrittore italiano, che dovea guadagnare alla libertà soprattutto l’aristocrazia. Questi i disegni sul giovine, che, affranto dal male e dalla solitudine, sul finire del 1819 scriveva a Giordani: «Amami tranquillamente come non destinato a veruna cosa, anzi certo d’esser