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106 | giacomo leopardi |
Oh quante volte In ripensar che più non vivi, e mai Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo, Creder noi posso. |
il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarre! |
Quei benedetti modelli classici non ancora l’ha cacciati dal suo spirito.
In una lettera a Giordani, citata innanzi, dove il giovane rappresenta il niente della esistenza, troviamo queste parole:
Se in questo momento impazzissi, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre cogli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere né muovermi, altro che per forza, dal luogo dove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte; non perch’io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore.
Questo stato è la base della Vita solitaria, un idillio che scrisse anche a quel tempo.
Qui chiama «ferreo sopore» l’apatia, uno stato senza passione e senza moto, senza riso e senza pianto, senza piacere e