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loquiali («Ed abbiamo visto pure», «Io vi dirò in breve», «E voi vedete quel che accade», «essi, l’indovinate, sono», ecc.; fino alla trascrizione sistematica del vocativo «signori», costantemente omesso dal Torraca), è possibile anche rinvenire nel testo dell’ignoto uditore alcuni elementi sostanzialmente integrativi del discorso fornito dal Torraca. Complessivamente si può notare che questi elementi, piuttosto scarsi nelle lezioni IX-XI, spesseggiano nelle altre due, tanto da collocare il testo dell’Era Novella quasi alla pari, per compiutezza se non per rigore, col testo del Pungolo. Perciò noi ci siamo decisi a riportare nell’apparato critico il testo integrale di quei resoconti, anche per mettere il lettore in grado di farsi un’idea più esatta dei due intercettatori.
Nei confronti del testo dei giornali, folto di locuzioni familiari e molto spesso approssimativo nella sua estemporaneità (ma non privo di una sua fresca suggestione, proprio in grazia di quella forma mossa e colorita e delle sue forti sprezzature, così congeniali al De S. oltre la stessa tirannia dell’improvvisazione1), abbiamo cercato di mantenerci il più possibile fedeli, ritoccando solo quei passi che risultavano oscuri o senz’altro corrotti. Anche per quanto riguarda la punteggiatura siamo intervenuti con nostri ritocchi solo in quei casi in cui lo richiedeva la chiarezza del discorso, rispettando in generale la sobrietà dei giornali, anche in questo vicina ai modi originali della scrittura desanctisiana. Per i titoli delle opere e per le citazioni abbiamo conservato, come s’è già fatto per i saggi, la lezione dei giornali, salvo nei casi in cui ci è sorto il sospetto che la deformazione fosse da attribuirsi ad errore di trascrizione degli uditori o, più probabilmente, ad errore di lettura dei tipografi. Un discorso a parte meritano tuttavia le ci-
- ↑ Il Torraca arrivava addirittura a preferire le lezioni ai saggi originali, esprimendo il rammarico suo e dei suoi condiscepoli per la rimanipolazione compiuta dal De S. nei riguardi dei materiali del primo e dell’ultimo corso: «La materia di quel primo corso, il professore riordinò e riassunse in parecchi saggi. Pensava che, ai lettori delle riviste e dei volumi, non doveva esser presentata con la larghezza di esposizione e l’abbondanza di esempi e di prove convenienti a lezioni universitarie. Noi non sapemmo risolverci a dargli ragione, né allora, né quando, allo stesso modo, rielaborò e condensò il corso sul Leopardi. La forma ricca, varia, mossa, calda della trattazione orale, ci pareva impoverita, mortificata da quella severa cura di brevità e di rilievo. Le idee sostanziali erano le stesse; ma ci pareva non avessero più il calore e il colorito, con cui erano sgorgate dalle sue labbra» (La settimana, numero citato, p. 404).