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II

IL «CINQUE MAGGIO»

Durante la gioventù del Manzoni, era salutato principe della poesia Vincenzo Monti, la cui scuola poetica fu legge per la nuova generazione, non che pe’ contemporanei, sicché Leopardi e Manzoni gli inchinarono con quell’entusiasmo giovanile per la grandezza vera o convenzionale del tempo. Leopardi gli dedicò la sua canzone sull’Italia e Manzoni cercò d’introdursi nella sua conoscenza. Monti, ebbro d’adulazione, contento d’aver allontanato il rivale Ugo Foscolo che aveva servito Napoleone con fierezza e dignità, e preferì morir povero in esilio anziché servir l’Austria, di cui la fama impiccolì come di povero e lontano; Monti disprezzò la dedica del Leopardi e disdegnò l’amicizia del Manzoni; ed ebbe il dispiacere di vederli sorgere ed offuscarlo.

La scuola poetica del Monti ha tre caratteri: una chiarezza che va fino alla prolissità; una sonorità che va fino alla cantilena ed alla monotonia; un’assoluta vacuità di contenuto. Il soggetto era pel Monti indifferente; con lo stesso entusiasmo cantava il papa, l’Austria e Napoleone.

L’Italia fin da’ tempi dell’Ariosto aveva perduto ogni contenuto, ogni fede; tendeva a guardar con ironia quanto era rimasto serio fra le altre nazioni. Lo spirito italiano visse finché ebbe un contenuto antico a mettere in pezzi; poi non gli rimase che a ricamare. Monti fu l’ultima espressione della decadenza italiana.