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Lezione VII
[IL SENTIMENTO NAZIONALE
E IL CORO DEL «CARMAGNOLA»]
Fermiamo bene i risultati a cui siamo giunti nelle due ultime lezioni sul Conte di Carmagnola. Manzoni ha scritto stando sotto impressioni critiche; prima di esser poeta ha dato battaglia a proposito dell’unità di tempo e di luogo, ha cercato spazi più larghi, maggior libertà di movimento. Venuto all’opera, sembra che non abbia saputo che farsi della sua libertà: cercando spazi più ampi all’arte, pareva dovesse inquadrarvi un’azione larga, alla Shakespeare; ma invece, come abbiam veduto, nella sua tragedia l’azione è chiusa in un atto solo, e il rimanente sono discorsi.
Questo è il lato difettivo della tragedia. Un’azione drammatica deve avere lotta, contrasto, deve avere ciò che dicesi svolgimento: qui la lotta comincia e finisce al terzo atto. Che c’è prima? Discorsi. Che c’è dopo? Discorsi! Questo non solo estingue l’interesse drammatico, ma falsifica il fatto storico che egli volea rappresentare. Lo spirito di que’ tempi v’è contraddetto, appunto perché v’è il discorso in luogo dell’azione, v’è lo spirito che si ripiega in se stesso, si rende conto de’ suoi atti. Questo ripiegarsi dello spirito non è il carattere del secolo XV, del Medio Evo, in cui tutto era azione. V’è dunque dissonanza tra i fatti, l’epoca, e il modo come l’autore fa concepire e sentire i suoi personaggi.
Ma prima di allontanarci dal Conte di Carmagnola, troviamo un uomo autorevole, innanzi al quale dobbiamo inchinarci, come