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122 | lezioni |
È una maledizione contro il mondo lanciata da un uomo che già gli volge le spalle. Egli muore ed ha sul labbro un’ultima preghiera, un’aspirazione verso l’altra vita:
— Vengo alla pace tua: l’anima stanca Accogli... — |
Ecco, abbozzati nei tratti della tragedia, i lineamenti dell’eroe cristiano, presentatoci da Manzoni.
Che cosa è desso? È l’uomo cristiano che già abbiam veduto spuntare negl’Inni, il quale si realizza qui fra le lotte barbariche: egli sente che quell’opera che egli fa è iniquità, e la fa, la fa perché il padre gliel’impone; la fa, ma come un uomo che non compie un dovere per passione, che non ci si mette con tutta l’anima sua, senza un generoso scopo, ma per ubbidienza. Quest’uomo guarda senz’interesse i grandi avvenimenti che si svolgono intorno a lui e che dopo tanto tempo colpiscono ancora la nostra immaginazione di spavento. Ma non ha egli patria, non famiglia, non regno, non ha il sentimento di quella catastrofe storica? Tutto ciò è cosa secondaria per lui, non lo riscalda, non lo spinge ad operare: egli ha l’ideale di un mondo morale più elevato ed opera contrariamente al suo ideale per ubbidienza, in mezzo a un mondo di violenze da cui si sente trascinato come canna.
Ecco dunque il concetto di quell’ideale. E che cosa è questo? È un ideale mancato, un abbozzo, è la prima apparizione di un nuovo orizzonte poetico di contro al secolo XVIII; è, per dirlo con la frase di Dante, una concezione «in cui formazion falla»; concezione non giunta alla forma, all’uomo vivo. E perché? Adelchi opera, ma l’opra riman fuori di lui, opera per dovei e, senza che vi partecipi l’anima sua. Quando si tratta di qualche cosa in cui deve entrare parte di sé, egli predica, parla, diventa elegiaco. Perché? Perché non ha l’energia del suo ideale.
Supponete un uomo il quale in tempi di barbarie, di violenza, avesse le grandi aspirazioni di Adelchi, presentisse un mondo migliore, più civile, ed avesse tanta energia da esser capace di attuare il concetto morale ch’ei si ha formato del mondo: l’ideale