lviii |
lezione preliminare. |
|
senza violenza che quanto da noi si disse della voce alkes oytana possa essere ripetuto altresì della italica anche, cioè che questa potrebbe venir considerata come un residuo di antico pronome indeterminato, il quale, dal volgare alquis1 per aliquis, era forse alchi od alco e che poi divenne, allungandosi e componendosi, alcuno: da aliqua od alqua era per avventura alca, divenuto poscia pel modo anzidetto alcuna; da aliquid finalmente fu alche, ed indi (ricordando quel di Donato a Terenzio — habet enim n littera cum l communionem) si fece anche tenendo una neutrale significazione, e per questa passando prontamente a far gli ufficii di avverbio. Nè è perciò appunto che di tale sua primigenia nozione non ne conservi qua e colà apparenti gl’indizii, giacché quando Dante scrisse:
- Mettetel sotto ch’io torno per anche....
- Io direi anche, ma io temo ch’ello
- Non s’apparecchi a grattarmi la tigna....
- . . . . . . . . . io sono Oreste,
- Passò gridando, ed anche non s’ affisse.
lasciò, a quanto mi sembra, intravedere nell’
anche l’
aliquid dal quale usciva, riferito a quantità, a numero od a tempo. E quando
Giovanni Villani pose
e con anche genti venne da Lucca, parve trasponesse la voce a disegno perchè ne trasparissero i primitivi servigi: e quando finalmente
Matteo Villani, insistendo sulla frase Dantesca, disse:
e avendo i primi mandò per anche, non fece che au-
- ↑ V. il Vol. I delle mie Lez. Accad. a facc. 221, 222.