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nome, pur aveva contribuito ad accreditare nel mondo. Presidente della giunta di governo, istituita dal generale Cadorna, fu egli che portò il plebiscito di Roma a Vittorio Emanuele.


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Il Caetani era l’uomo di maggior cultura e di maggiore autorità dell’aristocrazia. La sua casa aveva dato due Papi alla Chiesa, e fra i due, quel Bonifazio, condannato ed eternato da Dante; ed oltre ai Papi, dei cardinali, e capitani dì guerra e di ventura. Un Caetani aveva combattuto a Lepanto con Marcantonio Colonna, suo cognato. La tradizione assegnava a questa famiglia un’origine anteriore al Mille, facendola discendere dal tribuno romano Anatolio, che Gregorio II fece duca di Gaeta. Il salone del Sermoneta fu, nel tempo di cui parlo, il ritrovo più geniale e universale di Roma. Ogni straniero, anche di mediocre cultura, riteneva di non aver conosciuta Roma, se non fosse passato da casa Caetani, dove si parlava, con indiscussa competenza, di arte, di lettere, e anche di politica; e dove due sole cose non erano tollerate, la volgarità e la scioccheza. Il duca aveva ereditato da suo padre l’amore per le lettere e le arti, e dall’avo materno, Gherardo de Rossi, il culto di Dante. Suo padre Enrico, vivendo nella villa dell’Esquilino, dove stanno ora i frati Redentoristi, riuniva presso di sè letterati ed artisti, ed avendo destinato il giovedì per ricevere i seccatori, diceva, celiando, che in quel giorno si poteva passeggiare per Roma liberamente. Michelangelo Caetani ebbe tre mogli; la prima fu la contessa Callista Rzewuska, appartenente a ricca famiglia polacca, donna di superiore intelligenza, di spirito squisito, musicista perfetta, e giuocatrice profonda di scacchi. Da lei, che morì due anni dopo, nacquero Ersilia ed Onorato. Il duca trovò conforto nell’educazione dei figliuoli, e nel riordinamento del suo patrimonio. Aveva studiato scultura col Tenerani, e aveva scolpita quell’elegante statua che chiamò Amore legato, il famoso tagliacarte rappresentante Minosse, con la coda attorcigliata e le ali in alto, e i bellissimi mobili del suo salone. Sapeva a mente la Divina Commedia e n’era commentatore originale, come attestano la sua corrispondenza con Carlo Troia, con Gaetano Tre-