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sopra un elemento che non oppone nessuna resistenza, neppure là dove toccano la nube; non sono nè dilatati, nè scomposti. Al calcagno, alle caviglie, sotto le piante, sulle dita, tutto è raddolcito dalla morbidezza, e tutto sembra informato da uno spirito celeste. Quanta varietà ne’ loro atteggiamenti, nelle loro attitudini! — Raffaello, seguendo Omero, Teocrito, Ovidio, dipinse le Ore nate in primavera, quelle a cui spetta aprire le porte del cielo, attaccare i cavalli al carro del sole, quelle che coprono il cielo di nubi, e lo rasserenano, secondo che a loro più piace. Fa duopo lodare, sotto lo stesso aspetto, l’Aurora del Guido, altro pittore affascinante.

Polifemo, dipinto da Metastasio, nella sua Galatéa, è un quadro degno di Giulio Romano per la grandezza dell’espressione e per tutti i particolari, che caratterizzano il mostruoso personaggio. Eccone due frammenti:


Galatéa a Polifemo.


«Dimmi, che mai pretendi,
Ch’ami in te Galatea?
Una scomposta mole, un tronco informe?
Forse quel tuo bel volto
Inumano e selvaggio? O quella chioma
Rabbuffata e confusa?
Quel tuo sguardo sanguigno?
Quelle ineguali zanne
Sempre di nuova strage immonde e sozze?
O quell’alma ferina,
Ch’altra legge non cura, altro dovere,
Che la forza e il piacere?».

(Parte seconda).


Galatéa ad Agi.


«. . . . . . . . Vidi il crudele
Frangere incontro al sasso
Un misero pastor, che al varco ei prese,
Per farne orrido pasto alla sua fame.