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gli affari del barone 165


teva paura. Prese un altro foglio e ricopiò il primo fino alla parola teco

«Mi permetterai» continuò «di essere assai breve. Trattenendomi a Roma pochi giorni debbo camminar molto e alla sera mi trovo stanchissima. Ti prego di dire alla mamma e allo zio che sto benissimo e mi diverto. Roma mi affascina sempre!

Addio e mille felicitazioni ancora dalla

tua aff.ma cugina
Elena Di S. G.



Chiuse la lettera e la mandò subito alla posta. Appena partito il cameriere sentì rimorso di non avere nemmeno scritto a Cortis che le rincresceva dargli quest’afflizione; ma poi disse a sè stessa ch’egli, con il suo carattere, si sarebbe irritato e non afflitto di quella lettera. Meglio così! perchè certo l’amore di Cortis non somigliava alla inestinguibile passione sua. Egli ora andrebbe in collera, non le scriverebbe più; era facile, durante quel silenzio sdegnoso, uscirgli a poco a poco dal cuore. Ma, e se venisse a Roma subito? Se lo dovesse vedere?

Elena passò la notte in una veglia affannosa, tribolata da continui fantasmi. Si addormentò all’alba e si vide, in sogno, sulla riva del laghetto di Villascura, sola con un volume di Shakespeare fra le mani, fissi gli occhi nell’acqua immobile, fisse nel cuore le parole malinconiche di Porzia nel Mercante di Venezia: «Il mio piccolo corpo è stanco di questo gran mondo.»

Alle sei si bussò forte al suo uscio, e perchè ella non rispose subito, qualcuno aperse e a scosse, a urti, a colpi, entrò in camera tempestando: