Stefano Testa, l’òmero tuo forte
è rotto; e il braccio tuo, Vincenzo Origlio;
132o Montella, e il tuo femore. E la sorte,
o Gaudino, t’amò quando un vermiglio
fiore ti pose presso il cor tra costa
135e costa. E tu, Vito de Tullio2, figlio
di Bari vecchia ove una santa esposta
al popolo si chiama Serafina,
138e il popol tutto innanzi a lei fa sosta;
o Carmineo, di un’umile eroina
anche tu primo nato tra il Leone
141di San Marco e la Chiesa palatina;
o fratel mio d’Abruzzo, e tu, Marone,
che in sogno ancor la piaga del tuo piede
144strascichi per servire il tuo cannone;