Pagina:Cuore infermo.djvu/237


Parte quinta 237

tempo che ella non entrava nella camera di suo marito. Le parve tutta nuova, ma silenziosa e raccolta. Un leggiero puzzo di fumo di sigaro non le dispiacque. Per un istante obliò perchè era venuta; quella camera la seduceva. Per lei era misteriosa, di un mistero che le si svelava poco a poco, in una serie d’impressioni novelle. Aveva vissuto molto tempo accosto a questo mistero, senza che la pungesse il desiderio di conoscerlo, ed ora che d’un tratto le era sorto nell’anima questo desiderio, essa lo appagava con un vivissimo piacere. Sul tavolino da notte erano alcuni libri: uno di scienze sociali, un romanzo di Salvatore Farina: Amore bendato, le poesie di Coppée; erano aperti, spiegazzati; nessuno di essi aveva potuto consolare Marcello. Essa li rimise al loro posto, come stavano, con molta cura, con molta soavità. Andò allo specchio e si guardò con una grande curiosità; poi sorrise di sè: aveva creduto veder apparire il volto di Marcello. Sulla mensola, fra le spazzole, i pettinini, gli unguenti per la barba ed i profumi, trovò un anello. Era un sardonico, una pietra incisa, che rimontava all’imperatore Adriano, un gioiello artistico di grande valore: rappresentava la testa di Minerva, la Pallade Atenea dal severo profilo. Beatrice si ricordava di avere visto questo anello per molto tempo al dito di Marcello; in seguito non più. Involontariamente se lo pose al dito anulare, dove portava la fede matrimoniale. Passò alla scrivania: era in disordine; libri si accatastavano su libri; carte disperse su cui era gittato un fermacarte, per non farle volar via; un pacchetto di buste scorreva da una scatola di cartone sventrato; biglietti bianchi e rosa di un concerto di beneficenza. Ma sul davanti, presso l’elegante calamariera, prospettando chi scrive, nella sua custodia di velluto rosso, nel filetto d’oro che la incorniciava, la