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dalle false, la storia doveva cessare di essere una filatessa d’aneddoti, un esercizio retorico di descrizioni oratorie, ma sorgere a tutta l’ampiezza di sua missione; doveva rifarsi gran parte della storia italiana, e, ravvivate le tradizioni del Regno subalpino, dovevano divampare in incendio le faville nascoste sotto le ceneri de’ secoli. No, non si spense mai, nè per le vicende de’ Governi, nè per le patite calamità, negli animi piemontesi il desiderio di concorrere a redimere la Nazione dal servaggio straniero.



VII


Fin qui dello scienziato, che diremo dell’uomo e del cittadino?

Per debitamente apprezzarlo conviene, che col pensiero ci riferiamo a que’ giorni, che Carlo Alberto esclamando: j’attend mon astre, era costretto a palliare i suoi intendimenti. L’astro, che egli aspettava, era la stella d’Italia, allora ancora velata da nugoli oscuri, e segnante con tremolo e timido raggio di momentanea luce la notte cupa e perigliosa.

Da una parte i vecchi famigliari di Corte, de’ quali il Re non potè sbarazzarsi di botto, perchè dagli uffizi di cortigiano erano passati a coprire le cariche di magistrati, di ministri e di generali.

Dall’altra la polizia, tutt’occhio nello spiare ogni passo, ogni atto, che potesse rivelare qualche velleità d’innovamenti, sognava ogni giorno cospiratori e cospirazioni.

Di più coll’Austria prepotentemente signoreggiante ai confini, e sospettosa e vigile, non era cosa facile, come al presenti, l’essere liberale. I pochi d’allora erano sinceramente liberali, i molti d’adesso lo sono più di nome, perchè senza pericolo, che di fatto perchè costa.

Ma la stella d’Italia lenta, sì, ma pur avanzava al suo priélio. Carlo Alberto dando retta a quei, che desideravano il trono circondato di lumi, e sollecito del civil progresso, sebbene circospetto, e sempre dubbioso, pur doveva finalmente dar retta ad uo-

mini, che coscienziosamente lo consigliavano.

Tra questi dobbiamo annoverare Domenico Promis, che dai malevoli accusato di cospiratore, e dal Re provato leale e sincero, ne ebbe la confidenza illimitata, e potè rendere agli ingegni, e agli artisti segnalati favori, e col promuovere gli ambiti miglioramenti, giovare più, che altri alla Patria.

Degne di venire in luce sono le lettere di Carlo Alberto al Promis, riguardanti il medagliere, la biblioteca ed altre gravi incumbenze. Il Re, onninamente fidando nell’operosità e nella rettitudine di lui, volle anche chiamarlo a parte della direzione dei teatri, che tanta influenza esercitano sulla pubblica moralità; a parte della Censura, dalla quale dipendevano i progressi letterari e scientifici e la civil coltura del Paese. Messa in mano d’uomini onesti, ma paurosi, abbisognava di un ingegno prudente ad un tempo, e coraggioso, e che valesse ad allargare l’orizzonte delle idee secondo il bisogno dei tempi e delle dottrine, allentasse il freno, non disdegnasse di assumersi l’esame delle opere, che ai colleghi pesava di leggere, o non reggeva l’animo di licenziare alle stampe.

Se si potessero enumerare le opere pubblicatesi nei dieci anni, che il Promis fu revisore, si vedrebbe di quanto gli è debitrice la scienza e la civiltà.

Quando penso, che l’opera più colossale, la migliore su cui potesse la gioventù italiana informarsi a pensamenti nuovi, a principii generosi, mentre si maturavano i nuovi destini della Nazione, l’Enciclopedia storica del chiarissimo Cesare Cantù, tradotta in tutte le lingue dei popoli inciviliti, ebbe origine ai tempi, che dominava la Censura in Piemonte, ricordando come tutti allora la salutammo come un avvenimento della più alta importanza, non posso accagionare di tiranna e di improvvida quella che permetteva la diffusione di tanti lumi, e così larghe vedute nell’educazione morale e politica.

Or bene, con quali auspici prese le mosse e fiducia a proseguire lo Storico atleta? A chi volle sacrare il primo volume dei trenta che pubblicò? Al Presidente ed ai membri della R. deputazione sopra gli studi di storia