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434 | p u r g a t o r i o x v i i i. | [v. 139-145] |
che venneno con Enea in Italia, nel v de l’Eneidi: imperò che quando Enea, pervenuto in Sicilia, facea l’annuale d’Anchise suo padre, arseno quattro galee, o vero navi, appresosi lo fuoco nel navilio; unde molti Troiani volseno rimanere in Sicilia e non volseno procedere più oltra. E così per loro pigrezza, che ebbeno in sostener le fatiche, perdetteno che non funno poi partecipi de la gloria dei Romani: imperò che rimaseno in Sicilia e non funno co loro; e però dice: che; cioè la qual gente, l’affanno; del navigare, del combattere, non sofferse; cioè non sostenne, Fino a la fine; cioè in fin che si pervenne dov’è ora Roma, et acquistòsi Lavino, overo Laurento, overo Lauro Lavinio: imperò che la città del re Latino fu chiamata prima Lavinio dal nome di Lavinio, fratello del re Latino; e poi Laurento; per lo Lauro ch’era sacrato ad Apolline ne la rocca: e poi Lauro Lavinia da Lauro, e Lavinia filliuola del re Latino, col filliuol d’Anchise: cioè con Enea che fu filliuolo d’Anchise troiano, che guidò li Troiani in Italia, Sè stessa a vita senza gloria offerse; cioè diede sè medesma a voler vivere sensa gloria, rimanendosi in Sicilia per non patire più affanno: e il Savio dice: Absque labore gravi nil magnum dedit vita mortalibus.
C. XVIII — v. 139-145. In questi due ternari et uno versetto finge lo nostro autore come s’addormentò, sopra venendo nuovi pensieri, dicendo così: Poi che furon da noi tanto divise; cioè le suprascritte anime che andavano correndo, purgandosi del peccato dell’accidia; e però dice: Quell’ombre: cioè anime; perchè l’anima si chiami ombra è stato ditto di sopra, che veder più non potersi; cioè da me e da Virgilio, Nuovo pensier dentro da me; cioè ne la mente di me Dante, si mise; questo nuovo pensieri fu la nuova materia, de la quale pensava di trattare in giù mai: imperò che assai avea ditto dell’accidia, sicchè ingiummai pensava di trattare de la avarizia. E perche di sopra àe finto che di notte non si possa montare, però finge che s’addormentasse in questi pensieri, non potendo sallire1 a nuova materia, infine che non finge che sia venuto lo di’; e però pensava che ordine e che modo dovesse tenere in fingere questo. E sopra questo finge che s’addormentasse, per mostrare la imaginazione sua informare una imagine, che li apparisse nel sogno, che significasse lo vizio di che dè trattare, de la quale dirà nel seguente canto; e però dice: Del qual; cioè pensieri, più altri; cioè pensieri, nacquero; da quello2 che ditto è, e diversi; ancora da quello. E nota che altri importa diversità inaccennate e diversi, in substanzia; e però puose l’autore l’uno e l’altro. E tanto d’uno in altro vaneggiai; cioè andai discorrendo, non fermandomi sopra al-