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       398 p u r g a t o r i o   xvii. [v. 31-39]


C. XVII — v. 31-39. In questi tre ternari lo nostro autore finge come ne la imaginazione sua occorse un’altra istoria; cioè de la reina Amata mollie del re Latino re di Laurento, la quale pone Virgilio nel libro xii de l’Eneide. Dice Virgilio che la ditta reina sentendo che ’l marito; cioè lo re Latino volea dare la filliuola sua, ch’avea nome Lavina1, per mollie a Enea troiano che era arrivato a le suoe contrade, e non a Turno filliuolo del re Dauno d’Ardea (Ardea fu una città presso a Roma per 18 millia; ma ora è disfatta) che era suo parente, per ira s’appiccò a la trave. E questa istoria ancora induce l’autore, venuta ne la sua fantasia, per2 dar terrore a lo lettore e chi si purga dal peccato de l’ira, da esso peccato considerando quanto male ne seguita, e però dice: E come; cioè et altresì tosto come, questa imagine; de la quale fu detto di sopra rompeo; cioè sparve et uscitte de la mia fantasia, Sè per sè stessa; cioè per sè medesma, a guisa di una bulla; cioè a similitudine d’una campanella d’acqua che si chiama bulla; ecco che induce la similitudine de le campanelle, che fa spesse volte l’acqua quando piove: cade alcuna volta l’acqua sì grossa giuso, che iungendo insù l’altra acqua, riceve vento e gonfia e fa bulla; e per lo movimento dell’acqua, sfiata lo vento e la bulla si rompe subito e ritorna in acqua; così dice che di subito si sfece la imaginazione ditta di sopra, Cui; cioè a la quale campanella, manca l’acqua sotto; e però si disfà, perchè sfiata di sotto lo vento conceputo in essa, e tal si feo; cioè e come si fece tale3, chente la bulla che si sfà e torna in acqua e sparisce la imagine ditta di sopra; altresì tosto Surse; cioè si levò, in mia vision; cioè ne la mia fantasia che è vedere mentale; e però dice visione, e continua la similitudine de la bulla: imperò che come si disfà l’una, si leva l’altra; e però àe detto: Surse una fanciulla; questa fu la detta Lavina, Piangendo forte; vedendo la madre appiccata, e dicea; cioè Lavina in verso la madre: O reina; cioè Amata, madre mia, Perchè per ira ài voluto esser nulla imperò che per ira t’ai privato dell’essere corporale? Ancisa t’ài; tu, Amata, per non perder Lavina; cioè me Lavina tua filliuola; cioè la cagione, che ti indusse ad ira et a desperazione, fu per ch’io non fusse data ad Enea, che dicei4 che si dovea andare via e menarmene, e così pareva a te dovemmi5 perdere; e per non vedere questo t’ài ucciso,

  1. Lavina, Tarquino e simili truovansi nelle antiche scritture e in verso e in prosa. E.
  2. C. M. per deterrere lo lettore e chi si purga del peccato dell’ira da esso peccato, considerando
  3. C. M. tale, quale la bulla
  4. Dicei; dicevi, sottratto l’ultimo v, come si costuma da’ Classici. E.
  5. C. M. dovermi; — Il Riccard. dovemmi, dove la particella pronominale à la consonante raddoppiata, perchè aggiunta ad un infinito mozzato ed accentato; dovè. E.