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xiv | proemio. |
Quindi la difficoltà di penetrare certi intendimenti di Dante; difficoltà che gli antichi comentatori confessano o col tacere, o col poco dire, o col contradirsi. Inutili dichiarazioni grammaticali, e ingiurie a’ precedenti comentatori, e dubbi accumulati a dubbi, e allegorie a allegorie; tali i più de’comenti. Ma quello che più deve recar maraviglia, è l’abbattersi in uomini ai quali lo studio di Dante fu professione prediletta, e quasi unico vanto, e trovarli non curanti de’ fatti più importanti che commettono la poesia dantesca alla storia. Eccovi un autore di fama raccontare che i Guelfi ajutati da Manfredi sconfissero i Ghibellini: eccovi il Perticari creare Gianciotto signore di Rimini, e chiamar degno amico di Dante l’uomo che cent’anni innanzi amò la sorella di Ezzelino beatificata da Dante.
Non accade fermarsi a confutare l’idea strana del Foscolo, della missione apostolica che Dante riceveva lassù in Paradiso per riformare la Chiesa; egli che, gridando con ira passionata l’enormità degli abusi, professava ad un tempo La riverenza delle somme chiavi; e affermava l’impero di Roma essere stato stabilito da Dio
. . . . . . . . . . per lo loco santo
U’ siede il successor del maggior Piero.
Non accade fermarsi a confutare quelle ragioni di mera probabilità con le quali egli, il Foscolo, s’ingegna di dimostrare che Dante non diede fuori in vita sua del poema altro che i canti meno storici e meno iracondi; poiché non solamente le tradizioni a ciò contradicono, ma i fatti e l’indole del poeta, e le sue speranze, e i suoi fini, e la natura de’ tempi. Ma dal bene studiare le allusioni storiche del poeta viene dedotta questa conseguenza, che uomo di tale ingegno, di tale esperienza, e tanto desideroso di dimostrare in piena luce parte almeno di certe verità, oltre al dover essere onorato come poeta, dev’essere interrogato come narratore e pittore di grandi memorie; e sic-