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proemio. | ix |
rivolger d’occhi rincontransi in tutta Toscana; e nelle terre venete altresì, che portano una delle più antiche e più gentili schiatte d’Italia. Lo direste nato a rappresentare così la sua nazione, come l’intero suo secolo. Quella forza mista di soavità che distingue il genio toscano dall’attico, e lo rende men vivido, ma più fermo; nell’Allighieri chi non la riconosce eminente, come in una di quelle creature in cui la natura si compiace di raccogliere e congegnare i disparati suoi doni?
Or dalla vita sua quali conseguenze possiam noi dedurre a meglio conoscere l’uomo? Nato di padre già dalle civili discordie cacciato in esilio, e’ comincia nelle domestiche tradizioni a succiare sin da’ primi anni l’ira e il dolore: al sentimento degli odii fraterni congiungesi la salutare esperienza della sventura, e la sventura in parte rattempera quanto è in quelli di soverchiamente selvaggio; la sventura maestra d’amore e di mansuetudine. Si pensi da quale famiglia e’ nascesse, e s’avrà in mano una chiave, a dir così, del suo cuore.
Disposto dalla natura e dalla fortuna all’amore, egli ama nella puerizia: e l’affetto gl’insegna la forza di tacere, di soffrire, di perfezionare sè stesso; gl’insegna i più intimi e più soavi fra i terreni dolori. La guerra di quest’amore ideale coi doveri di padre di famiglia, e con altre passioni, non turpi (io vo’ sperarlo) ma meno gentili, è una di quelle contradizioni che la sua natura ci spiega: dall’un lato, ingegno che ha di bisogno del grande; cuore ardente dall’altro, al quale una passione più prossima, più irrequieta, appare come necessità prepotente.
Educato nelle massime e nelle pratiche di religione severa e profondamente sentita, l’umana corruzione lo indusse a discernere la religione dai ministri di lei; a onorare quella, e questi giudicare severo; a congiungere coll’umiltà di credente devoto l’irriverenza d’incredulo audace. Gli uomini, che per solito non amano le distinzioni, e si compiacciono, per fuggire fatica, di guardare le cose