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[v. 79-90] | c o m m e n t o | 835 |
condannare lo innocente, sia condannato elli a quella medesima pena. Che se il conte Ugolino avea voce; cioè fama, D’aver tradita te delle castella; come detto fu di sopra, Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce; cioè a tal tormento1. Ecco la cagione; perchè erano innocenti. Innocenti facien l’età novella: imperò ch’erano tutti garzoni, Novella Tebe; cioè, o Tebe, o vero cioè o Pisa, che se’ novella Tebe: imperò che di Tebe citta di Grezia, della quale fu detto di sopra cap. xiv, fu l’edificatore di Pisa; cioè Pelope figlio del re Tantalo re di Tebe, lo quale venne in Italia e fece Pisa dal nome d’una sua città ch’era nel regno suo, la quale si chiamava Pisa nella quale correa uno fiume, che si chiamava Alfeo, come corre l’Arno per Pisa; e però fu ancora chiamata dal suo principio Alfea, come testifica Virgilio nella Eneida2: e come quelli Tebani furono crudeli tra loro, come per Istazio e per le tragedie appare; così sono stati i Pisani in tra loro e fanno e sono nel detto caso; e però la chiama novella Tebe. Ecco che nomina coloro i quali l’età escusava, ch’erano garzoni, o dall’adolescienzia in giù, Ughiccione e il Brigata; ecco li nomi de’ due figliuoli maggiori, E li altri due, che il canto suso appella; cioè Gaddo et Anselmuccio, che furono nominati di sopra in questo canto medesimo, e però dice: il canto suso appella; cioè di sopra nomina; e qui finisce la prima lezione di questo canto.
Noi passammo oltre ec. In questa seconda lezione finge l’autore lo suo passamento dal secondo giro nel terzo, dove si puniscono li traditori, che, per poter meglio fare lo lor tradimento, mostrarono e mostrano alcuno segno di carità, facendo qualche benificio acciò che l’uomo si fidi e ch’ellino possano meglio tradire, e chiamasi la Tolomea denominata da Tolomeo, come si dirà di sotto; e dividesi in sei parti: imperò che prima finge lo passamento del secondo giro nel terzo; nella seconda domanda da Virgilio dichiarazione d’uno accidente, ch’elli sentì in quello terzo giro, quivi: Et avvegna ec.; nella terza, come un’anima di quelle del terzo giro lo priegò d’alcuno servigio, quivi: Et un de’ tristi ec.; nella quarta finge com’elli se li manifesta, et ancor delli altri, quivi: Oh, diss’io lui ec.; nella quinta finge uno contasto, ch’ebbe con quell’anima per maggiore dichiaragione, quivi: Io credo, diss’io ec.; nella sesta et ultima pone una invezione contra li Genovesi, quivi: Ahi Genovesi ec. Divisa adunque la lezione, è da vedere la sentenzia litterale la quale è questa.
Poi che l’autore fece la detta invezione contra Pisa, dice che se-