Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
774 | i n f e r n o xxx. | [v. 100-108] |
l’ò abbreviata per meno scrivere; e perchè questa reina falsamente accusò Giosep, però la finge dannata l’autore in questo luogo. L’altro è il falso Sinon greco di Troia; questo Sinone, secondo che pone Virgilio nel secondo libro della sua Eneida, fu greco; e quando i Greci ebbono fatto il cavallo, lo quale infinsono1 d’aver fatto a onore di Pallade per placare la sua ira, perch’aveano preso lo suo Palladio con le mani sanguinose; et andatisene a Tenedo, fingendo d’essersi partiti, rimase nel campo e studiosamente si fece pigliare, parandosi inanzi a’ pastori del re Priamo, per entrare in Troia et aprire la notte il cavallo, quando li Troiani dormissono, e fare fuoco per cenno a’ Greci ch’erano a Tenedo, di lungi da Troia forse x miglia, acciò che tornassono. E quand’egli fu dinanzi al re Priamo, disse molte bugie e falsità, come appare nel luogo preallegato; e perchè è cosa nota, però brievemente la passo; e però dice l’autore che maestro Adamo dice che l’altro è el falso Sinon greco, perchè fu greco; e falso, perchè molte falsità disse a’ Troiani; di Troia dice, perchè a Troia seminò le sue falsità. Per febbre acuta gittan tanto leppo; ora mostra la pena che costoro sostenean, ch’elli pone febricosi di febbre etica, e ponli putenti d’arsione, e però dice: Per febbre acuta: febre acuta è la etica che uccide l’uomo in tre di’, et arde che pare che getti fiamma: leppo è puzza d’arso unto, come quando lo fuoco s’appiglia alla pentola2 o alla padella; e così dice che putivano costoro, come putono alcuna volta coloro che sostengono sì fatta passione. Questa è conveniente pena a coloro, che fanno pericolare altrui con falsità, come feciono questi due che, come ànno arrecato altrui a morte con loro falsità; così stieno elli infermi sempre a morte: e come sono stati freddi nella carità del prossimo; così ardano nella loro coscienzia per molestia del loro peccato, e putano come si sono sforzati di piacere con ogni falsità. Et allegoricamente si conviene a quegli del mondo, che continuamente ardono delli loro desidèri; et ad ognuno putono che li conosce, e sempre sono infermi quanto all’animo infino alla morte; cioè alla sua desperazione, per la ostinazione del peccato nel quale sono.
C. XXX — v. 100-108. In questi tre ternari l’autor nostro finge che Sinone, del quale fu detto di sopra, si crucciasse d’essere nominato forse in quel modo; perciò percosse il maestro Adamo che l’avea nominato, et elli percosse lui; e per questo avvenne che si villaneggiarono insieme, come si dirà di sotto. Dice adunque così: E l’un di lor; cioè Sinone detto di sopra, che si recò a noia Forse d’esser nomato sì oscuro; cioè di essere nomato con infamia, come lo nominò maestro Adamo: però che come gloria fa chiarezza; così infamia fa oscurità, Col pugno li percosse l’epa croia; cioè li diede