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[v. 20-42] | c o m m e n t o | 119 |
detti peccati; ma secondo le loro specie, ponendo che nel sesto cerchio sia punito il peccato della eresia in tombe di fuoco, e perchè è specie di superbia. E poi finge il settimo, secondo il modo delli altri; ma distinguelo in tre cerchi, sicchè il primo è a lato alla grotta che scende del sesto cerchio, e il secondo a lato al primo, e poi il terzo all’altra grotta; e nel settimo cerchio così distinto finge che si punisca il peccato della violenzia. E poi finge l’ottavo cerchio, secondo il modo delli altri, se non che lo divide in x fossati che li chiama bolge, l’uno dopo l’altro, intorno con ponticelli che valicano da l’una ripa all’altra; et in questo cerchio finge che sieno punite x specie di peccati contenute sotto la fraude contro all’amore naturale. E poi finge il nono al centro della terra, lo quale distingue in quattro parti in tondo come li altri, e qui finge che sia punito il peccato della fraude contro l’amicizia, e questo è l’ultimo: e di questo più largamente si dirà, quando si tratterà di quelli. Tanto doviamo sapere che l’autore finge che sieno nove cerchi: però che Virgilio nel sesto libro dello Eneida, ove tratta del discendimento d’Enea all’inferno, pose ancora nove cerchi, et in questo l’autore lo vuole seguitare: et ancora come nella terza cantica à posto l’ascendimento delle virtù per li nove cieli; così volse porre qui lo discenso del vizio per nove cerchi.
C. IV. - v. 25-42. In questi sei ternari l’autore finge le pene, a che sono condannate quell’anime che sono nel primo cerchio, e fa due cose principalmente: imperò che prima pone quello che qui sentì; nella seconda parte pone come Virgilio lo incita a domandare, e come risponde alla domanda, e toglie via un’obiezione, quivi: Lo buon Maestro a me ec. E questa à tre parti, perchè prima incita Dante a domandare; nella seconda risponde, quivi: Or vo’ che sappi ec.; nella terza solve l’obiezione che si potrebbe fare, quivi: E se furon ec. Dice adunque: Quivi; cioè in quel luogo; cioè in tutto il primo cerchio, secondo che per ascoltare; cioè secondo quello che si comprende ascoltando, Non avea pianto, ma che di sospiri; cioè se non di sospiri, Che l’aura eterna facevan tremare; cioè che facean tremare l’aere infernale, che mai non dee aver fine. Ciò avvenia di duol sanza martiri; cioè questi sospiri avveniano pur per dolori, che venivano sanza ricever martirio, Ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi; cioè questo duolo aveano le turbe, ch’erano quivi grandi e molte. D’infanti; cioè di fanciulli, maschi e femine: chè sotto questo nome si comprende il maschio e la femina, e di femmine, e di viri; uomini e femine grandi. Lo buon Maestro; cioè Virgilio, disse, a me: Tu non dimandi. E qui mostra come Virgilio incita Dante ad attendere alla dichiarazione di quello che qui si potrebbe dubitare, che incontanente lo dichiara dicendo: Che spiriti son questi, che tu vedi?