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capitolo secondo 99

Egli frequentava il caffè delle Belle Arti, dove non gli riesciva dì frenar sempre i pensieri che gli turbinavano nella testa; onde era dalla papale polizia rigorosamente invigilato, di guisa che nel 1845 fu arrestato e processato come settario: ma seppe così bene schermirsi dalle accuse che, dopo qualche mese, fu prosciolto dal carcere per mancanza di prove del reato imputatogli. Dotato d’ingegno perspicace e pronto, nudrito assiduamente di letture rivoluzionarie, il dottor Pietro Guerrini vagheggiava, in cuor suo, una repubblica sullo stampo di quella francese del ’93, della quale, con accesa fantasia, idoleggiava gli eroi. Fin da giovinetto aveva sentito in sé un forte impulso al verseggiare, e, all’apparire dell’editto del perdono, rabbonito verso il papato, se non completamente convertito, fu preso egli pure di entusiasmo per Pio IX, e a lui sciolse inni di laude.

Giuseppe Checchetelli, romano anche esso, era nato nel 1815 a Roma si era laureato in legge. L’ingegno suo, svegliato ed aperto, subi l’influenza dell’Alfieri, e più del Foscolo e del Pellico, e, la innata facilità al verseggiare, volse a tesser tragedie quali il Manfredi, la Congiura dei Baroni, Guisemberga da Spoleto, in cui, sotto la classica e arcadica fraseologia, si sprigionavano, di tanto in tanto, faville di patrio affetto. Credo fermamente, quantunque non ne abbia le prove, che esso pure fosse ascritto alla Giovine Italia: certo egli allora repubblicaneggiava un po’ per convincimenti, un po’ per studiato desiderio di seguire la voga; fu gagliardo polemista, uno dei fondatori e, per oltre un anno, direttore del giornale la Pallade, e, allora, non dava alcuna ragione di sospettare in lui il futuro deputato moderatissimo di destra alle assemblee legislative italiane dal decennio 1864-1874. Frattanto nel 1846 anche la musa del Checchetelli pagò il suo tributo di lodi a Pio IX.

Il dottor Filippo Meucci vide la luce in Santo Polo dei Cavalieri, circondario di Roma, nel 1805. Inviato nel seminario di Tivoli dai parenti, che si auguravano di fare di lui un canonico o almeno un cappellano, egli vi si segnalò negli studi delle umane lettere per singolare svegliatezza d’ingegno, per un gusto fine e delicato, e per una grande attitudine a poetare con sufficiente grazia ed eleganza. Con tali tendenze del giovine, il canonicato vagheggiato dai parenti si dileguò, e il Meucci fu inviato a