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VIII AI MIEI FIGLIUOLI.

parole, anche quando non sono all’unisono colle idee e coi gusti correnti; voi, che fin da bambini mi avete sentito esaltare l’ingegno e la bontà del Leopardi, recitarne con entusiasmo i versi e le prose, deplorare l’infelicità onde la natura e il mondo afflissero quel nobile spirito, a voi non parrà strano che, avendo io cominciato nel nome di lui ad amare le lettere, abbia sentito il bisogno di dedicare a lui l’ultima opera mia di scrittore.

Questo libro è, voi già lo capite, il mio testamento letterario; e perciò spetta a voi.



Io era quasi un ragazzo quando, intorno al 1850, mi vennero la prima volta alle mani le poesie del Leopardi in una brutta e scorretta edizione di Napoli. Le comperai per poche crazie da un venditore ambulante, che veniva a mettersi tutti i giorni con un barroccino davanti alla porta delle Scuole Pie di Firenze. Ne ebbi una forte impressione: le lessi e rilessi tanto, che in breve ne sapevo gran parte a memoria. Mi nacque naturalmente il desiderio di leggere tutte le opere; e, trovatele in Magliabechiana, andavo tutte le sere a deliziarmi con gran trasporto in quella lettura; quando una sera il distributore mi disse che, per ordine del signor bi-