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[226-228] | Casa e servi | 59 |
Questa iscrizione fu posta da Lodovico Ariosto nella casa ch’egli si era fatta costruire in Ferrara, nella contrada di Mirasole. Ce ne ragguagliano il Pigna (I Romanzi, ne’ quali della poesia et della vita dell’Ariosto si parla, Venezia, 1554) e il Garofolo nella Vita dell’Ariosto, che precede alcune edizioni del Furioso dopo quella del 1584. Questo distico che fino ai tempi del Garofolo citato si leggeva nel fregio dell’entrata della stessa casa, ne fu poi tolto anticamente: e quando scriveva il Barotti nel 1714, doveva essere un gran pezzo che non c’era più. Ma in tempi recenti vi fu rimesso entro una fascia sopra la porta d’ingresso che corre lungo tutta la facciata.
Benchè non parli di case, è bene ricordare qui subito il verso che rende lo stesso concetto del distico ariostesco:
226. Mon verre n’est pas grand, mais je bois dans mon verre.1
Per i servi, ho due frasi, una antica e una moderna, ma ambo adatte a confermare la universale opinione, su cui piacevoleggia anche il nostro De Amicis nella Olanda (cap. di Delft: ediz. Barbèra, 1874, pag. 139): l’antica dice:
227. Quot hostis, tot servi.2
antico adagio che Seneca (Epist., 47, 5) cita così: Totidem hostes esse quot servos, ed ugualmente Macrobio (Saturn., lib. I, capit. 11, § 13); e la moderna
228. On n’est jamais si bien servi que par soi-même.3